Gli sfollati da Gaza sono circa 1,5 milioni. Un attacco delle forze israeliane contro il campo profughi di Al Maghazi, nella Striscia di Gaza, ha causato 51 morti e decine di feriti. Lo riporta l’agenzia di stampa palestinese Wafa, secondo cui si è trattato di un raid aereo mirato contro l’abitazione della famiglia Samaan, che è stata centrata e distrutta. Sempre secondo la Wafa, i jet israeliani hanno colpito anche un altro campo profughi, Al Shati, dove sarebbe stato sganciate bombe al fosforo. Secondo quanto dichiarato dal movimento islamico su Telegram, Israele ha bombardato “direttamente” le case dei cittadini, e la maggior parte delle vittime erano donne e bambini. “Un attacco aereo israeliano ha preso di mira la casa dei miei vicini nel campo di Al Maghazi, la mia casa accanto è parzialmente crollata”, ha detto Mohammed Alaloul, 37 anni, giornalista che lavora per l’agenzia turca Anadolu. Alaloul ha detto alla France Presse che suo figlio di 14 anni, Ahmed, e suo figlio di 4 anni, Qais, sono stati uccisi nell’attacco, insieme a suo fratello.

Gli sfollati da Gaza sono circa 1,5 milioni

Circa 1,5 milioni di palestinesi sono sfollati all’interno della Striscia di Gaza, secondo un documento dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari, citato dal quotidiano britannico The Guardian. Il rapporto afferma inoltre che circa 710.275 abitanti di Gaza sono stati accolti in 149 strutture dell’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, altri 122.000 si trovano in ospedali, chiese ed edifici pubblici, 109.755 hanno trovato riparo in 89 scuole non collegate all’Unrwa e il resto risiede presso famiglie di familiari o conoscenti. 

Jens Laerke, portavoce dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA) ha dichiarato che 700 mila gazani sono ospitati nelle strutture dell’UNRWA, numero quasi quattro volte superiore alla capacità massima consentita nelle strutture.

“Quello che abbiamo visto accadere negli ultimi 26 giorni in Israele e nei territori occupati non è altro che quello che definirei un flagello per la nostra coscienza collettiva, ha detto Martin Griffiths, sottosegretario generale per gli Affari umanitari dell’Onu.