Degli ultimi giorni è l’aggiornamento che è stata trovata un’alternativa capace di interrompere l’incessante richiesta di resi online, e la pratica a lungo dibattuta del bracketing. Da adesso, secondo alcune informazioni giunte dai colossi della grande distribuzione, protagonisti di questo dibattito su come diminuire i crescenti resi online, sarà obbligatorio pagare nel caso si voglia rendere un capo acquistato digitalmente. Non in tutti i casi verranno aggiunti dei costi al reso, ma una normativa comune lo prevede, e già l’81per cento dei venditori dell’online, secondo il New York Post, ha deciso di attivarla per la restituzione di più prodotti.
Acquisti online: i grandi brand studiano un nuovo tipo di reso
La crescente richiesta di resi online, duplicata negli ultimi quattro anni, ha visto l’acquisto online e le sue pratiche di return, divenire uno dei temi più trattati dall’imprenditoria digitale, che ha studiato a lungo delle strategie per ridurne la quantità. Sono state studiate più alternative ma, di comune accordo tra più piattaforme di vendita online, si è deciso di aggiungere il cosiddetto ‘’costo di reso’’, che a detta di alcuni dovrebbe rendere il consumatore più attento a quello che acquista. Il primo paese ad attuare questa strategia è stato il Regno Unito, il quale ha deciso di richiedere un pagamento aggiuntivo per chiunque decida di restituire il prodotto precedentemente acquistato in un luogo gestito da terze parti, e sul quale non ha controllo diretto la società di provenienza del capo. A seguire l’UK è stata l’America, in particolare Amazon che dopo anni di collaborazioni con store come Kohl’s e Staples, al fine di aiutare i clienti nella restituzione in un luogo fisico, ha imposto un costo di un dollaro per tutti i consumer che decidono di rendere in uno spazio secondario. Sempre in America il costo di reso può raggiungere i 7dollari.
L’ecocompatibilità del reso
Ad aver contribuito all’ideazione di questa strategia, vi è il comportamento d’acquisto dei consumatori, i quali spesso scelgono di acquistare maggiori quantità di un prodotto perché indecisi su taglia e modello, per poi renderli. Questa pratica, oltre a costare di più ai venditori, ha un costo elevato in termini ambientali. Ogni volta che un consumer decide di restituire un capo acquistato online, quest’ultimo deve ripercorre le fasi di spedizione e consegna, raddoppiando l’uso di fonti energetiche e materie prime. A tal riguardo la società di trasporti americana In and Return dice:
‘’serve ideare un programma di reso comune, che porti il consumatore a considerare l’intero percorso di arrivo e ritorno del prodotto, e di tutto quello che questo coinvolge: dal trasporto alla confezione. L’ambiente deve divenire priorità per il consumatore e per il venditore, entrambi hanno un ruolo fondamentale per il suo futuro’’
ponendo l’attenzione sull’equità dei ruoli tra chi vende e chi acquista. Nasce da qui la volontà di ridurre i tempi di reso che spesso allungano quelli della vendita stessa, che deve considerare la richiesta del pubblico e la rimessa in vendita del prodotto dopo il reso.
Ruoli e responsabilità
Il reso deve così divenire più attento a tutto quello che comporta, dall’ambiente ai tempi di vendita, e ancor prima alla produzione ed uso dei materiali. I nomi della grande distribuzione devono usare la strategia del costo di reso per rivedere la catena d’acquisto e rendere più ecocompatibili le sue fasi. Con questo anche il consumer deve essere a conoscenza del suo ruolo decisivo nella funzionalità dell’intera catena. E se ad ora si parla di prodotto è perché il suo consumo va controllato.
Luca Cioffi
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