Come richiedere il danno derivante da errori nella compilazione dei cedolini paga.
Un argomento di ricorrente attualità, nelle vicende quotidiane delle imprese che occupano dipendenti, è innegabilmente il dubbio che più volte sorge in capo all’imprenditore e ai suoi dipendenti relativo alla correttezza della compilazione dei loro cedolini paga.
Mentre per i dipendenti è molto agevole il controllo dell’operato della ditta, rivolgendosi ai sindacati che, con la sola sottoscrizione di una tessera associativa, possono effettuare tutti i controlli necessari ed eventualmente richiedere le spettanze non riconosciute al lavoratore, il datore di lavoro non può far altro che affidarsi e di conseguenza fidarsi dei chiarimenti del proprio consulente che ha redatto le buste paga.
Può capitare tuttavia che, anche a distanza di anni, i conteggi si rivelino inesatti a sfavore dell’impresa, che ha così erogato emolumenti non dovuti e per i quali è estremamente difficile richiederne la restituzione ai lavoratori dipendenti, per ovvi e svariati motivi.
In tal caso, ci si trova di fronte ad un evidente caso di responsabilità professionale da parte del consulente, che può essere quantificato in cifre estremamente elevate, qualora l’errore sia ripetuto per tutti i dipendenti in forza e protratto per molto tempo.
A riguardo, una recente sentenza del Tribunale della capitale avente oggetto “responsabilità professionale commercialista – predisposizione di buste paga ed erroneo conteggio degli scatti di anzianità – diligenza qualificata ex art. 1176 comma 2 c.c.”, originata da citazione dell’impresa nei confronti del consulente, al fine di richiedere il riconoscimento del danno subito, ha chiarito quali elementi deve provare l’imprenditore per ottenere ragione in questo tipo di vicende.
Il datore di lavoro sosteneva che, da oltre cinque anni, nell’elaborazione dei prospetti paga da parte del professionista, erano state inserite a vantaggio dei lavoratori voci non dovute che avevano fatto
lievitare l’ammontare dei compensi ai dipendenti senza che questi ne avessero diritto; in particolare, il commercialista aveva errato nel conteggio degli scatti di
anzianità dei lavoratori, errori indicati nella perizia di parte.
Era pertanto configurabile la responsabilità professionale
del commercialista ai sensi dell’art. 1176 comma 2 c.c. per non avere svolto la prestazione con la diligenza qualificata richiesta dalla natura dell’attività esercitata.
Oltre ad altre eccezioni non accolte, il professionista contestava che non era stata allegata prova del danno asseritamente patito dalla ditta: mancava, in sostanza, la documentazione inerente i pagamenti effettuati.
La norma di riferimento inserita nella disciplina dettata in tema di adempimento dell’obbligazione è
l’art. 1176 comma 2 c.c.: “Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.
Mentre per l’adempimento delle obbligazioni in generale il comma 1 della citata disposizione
richiede al debitore la diligenza del buon padre di famiglia, per l’adempimento delle obbligazioni
derivanti dall’esercizio di una professione intellettuale il grado di diligenza richiesto è connaturato al tipo di attività in concreto esercitata.
La giurisprudenza di legittimità, con orientamento pressoché granitico e dal Tribunale condiviso, ha chiarito, in relazione alla individuazione del grado di diligenza richiesto al professionista, che le
obbligazioni inerenti all’esercizio di attività professionale, sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si impegna a prestare la propria
opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo; pertanto, ai fini del giudizio di
responsabilità nei confronti del professionista, rilevano le modalità dello svolgimento della sua
attività in relazione al parametro della diligenza fissato dall’art. 1176 comma 2 c.c., che è quello
della diligenza del professionista di media attenzione e preparazione (Cass. 18612/2013;
10454/2002; 6967/2006).
La giurisprudenza di legittimità con condivisibile orientamento ha chiarito che in tema
di responsabilità professionale, il commercialista incaricato di una consulenza ha l’obbligo – a norma dell’art. 1176, comma 2, c.c. – non solo di fornire tutte le informazioni che siano di utilità
per il cliente e rientrino nell’ambito della sua competenza, ma anche, tenuto conto della portata
dell’incarico conferito, di individuare le questioni che esulino dalla stessa, informando il cliente dei
limiti della propria competenza e fornendogli gli elementi necessari per assumere le proprie
autonome determinazioni, eventualmente rivolgendosi ad altro professionista indicato come competente (Cass. Civ. 13007/2016).
Viene in rilievo, quindi, una responsabilità da inadempimento contrattuale, con tutti gli oneri
probatori che ne derivano.
In particolare, nel giudizio di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale è onere
dell’attore dimostrare unicamente l’esistenza e l’efficacia del contratto, mentre è onere del convenuto dimostrare di aver adempiuto alle prestazioni oggetto del contratto ovvero che l’inadempimento non
è dipeso da propria colpa (SSUU 13533/2001).
Con particolare riferimento all’onere della prova in tema di responsabilità del commercialista,
incombe sul cliente la prova oltre che della sussistenza del mandato professionale, del danno patito in nesso eziologicamente riconducibile al detto negligente comportamento (Cass. 9917/2010 e
13873/2020 in base alle quali la responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del
proprio cliente per negligente svolgimento dell’attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio subito dal cliente).
Il Tribunale ha constatato che, nel caso concreto, l’inadempimento del
commercialista era stato dedotto sulla scorta solo di una perizia di parte nella quale veniva quantificato il danno; non era stata fornita prova del danno, essendo insufficiente la perizia (mera allegazione difensiva).
Sarebbe stato invece necessario fornire prova documentale dei maggiori esborsi sostenuti a causa degli asseriti errati conteggi, da parte della ditta: non risultavano infatti prodotte le buste paga affette da errori; non era stata prodotta documentazione bancaria tesa a dimostrare gli esborsi sostenuti. Per queste controversie, molto tecniche, sarebbe preferibile rivolgersi a legali che siano anche dottori commercialisti, in modo da ottenere in tempi celeri un parere circostanziato sulla vicenda