“Il Colombre” è uno dei racconti più intensi mai scaturiti dalla felicissima penna del maestro Dino Buzzati. Edita nel 1966 – ma la sua magia risulta assai vivida ancora oggi – è la vicenda di un Leviatano, un mostro marino che perseguita i marinai fino a portarli alla pazzia e alla morte. Visibile solo alle sue vittime, “Il Colombre” prende a seguire anche il giovane protagonista del racconto e non gli lascerà scampo fino alla consegna di un dono inatteso.

Cinquant’anni più tardi, il cantautore marchigiano Giovanni Imparato assume lo stesso nome d’arte di quel mostro marino ed esordisce con un ciclo di canzoni che, almeno sul piano tematico, in qualche modo riprendono i motivi forti di quella ‘short story’ buzzatiana: le distese acquatiche, l’attesa esistenziale, l’atmosfera sottilmente inquietante, le paure e certi fantasmi (reali o metaforici che siano) coi quali ci si ritrova a dividere il cammino, ora esorcizzandoli, ora vincendoli anche se a caro prezzo.

“Pulviscolo”, uscito in marzo per l’etichetta Bravo Dischi, presenta agli ascoltatori la nuova avventura artistica di Imparato che, a seguito di alcune esperienze precedenti con Chewing Gum e Maria Antonietta, ha scelto di mettersi in proprio ed esporre nuove idee e suggestioni liriche-sonore.

Quando è ormai quasi mezzanotte sale sul palco la band: oltre al Nostro – che per look sembra uscito da un band britpop degli anni Novanta – che canta e suona la chitarra elettrica, c’è un tastierista (addetto anche ai synth e, occasionalmente, seconda chitarra) e poi basso e batteria, come da tradizione.

Il sound è uno spumeggiante, dolce-amaro mélange di indie pop/rock di matrice anglo-americana – ci senti dentro i primi Talking Heads ma anche gli Smiths, gli Orange Juice o gli Aztec Camera fino a Mac Demarco – di freschezza effervescente vagamente brasileira (Cateano Veloso) anche se poi, in ultima analisi, la forza comunicativa e melodica risulta fortemente italiana, figlia della nostra migliore tradizione.

Un percorso di vita vissuta e varie realtà interiorizzate e quindi sublimate in canzoni: nel cuore del repertorio di Colombre ci sono le amicizie e gli amori, presenti o passati, un dialogo allo specchio che alterna nei toni una crudezza molto vera e diretta mentre in altri è l’ironia a stemperare o alleggerire i conflitti.

Complice l’asciuttezza, cromatica ma soprattutto temporale, di questo lavoro d’esordio – appena otto brani – il concerto durerà un’ora scarsa e la scaletta, oltre a proporre appunto quei pezzi (e la riproposta di “Sveglia” anche in chiusura) ci regala nel corso dei bis una credibile e ispirata cover di “Senza un Perché” di Nada e due inediti, “Svastica” e “Una scintilla”, quest’ultima affidata solo alla voce e alla chitarra elettrica.

I brani più riusciti: certamente l’evocativa accoppiata di “Deserto” che riverbera naturalmente in “Blatte“, forse il pezzo più bello e intenso dell’intero album, quindi la title-track “Pulviscolo” e la conclusiva “Fuori Tempo“, con la stratagemma preordinato di portare fuori tempo gli stessi strumenti in coda al brano, creando un effetto suggestivo di straniamento.
Ma anche la già citata “Sveglia” e “Dimmi Tu” scuotono la platea e la trascinano in una danza funky.

Il pubblico presente dimostra di gradire parecchio e il locale – pur non essendo sold out – riverbera del positivo e felice scambio di emozioni: i fan conoscono a memoria le canzoni e le cantano in coro come fossimo ad una serata di un artista già molto noto e affermato. Nota di colore che sicuramente sarà gradita a Colombre, cui auguriamo di proseguire lungo questo brillante percorso che finora lo sta attestando come uno dei nuovi artisti più stimolanti da seguire sulla scena nazionale.

Ariel Bertoldo