Nonostante il 2023 sia stato un anno fortunato, secondo diversi studi la parità di genere nell’industria cinematografica è fin troppo lontana dall’essere raggiunta. Da Barbie di Greta Gerwig, blockbuster sull’emancipazione di genere, personale e sull’affermazione del proprio io. A Povere Creature!, capolavoro di Yorgos Lanthimos sulle infinite possibilità di un corpo e una mente lontane dalle imposizioni sociali, soprattutto quelle sul femminile. Fino a C’è ancora domani, successo clamoroso in Italia e all’estero per il meraviglioso esordio alla regia di Paola Cortellesi, in un film che, attraverso la finestra degli anni quaranta italiani parla di cultura patriarcale e violenza di genere. Tre titoli forti che, purtroppo, risultano ancora fin troppo l’eccezione, piuttosto che la regola. Le donne nel cinema rappresentano ancora una minoranza rispetto ai colleghi uomini. E questo accade in ogni campo, non solo nell’ambito della recitazione. Dalle manovalanze, alla regia fino al pubblico stesso, i cui titoli propendono sempre per una forte indicizzazione al maschile.
L’ultimo caso eclatante su quest’ultimo fenomeno è quello della recente catastrofe Sony che porta il nome di Madame Web. Nel ultimo (probabilmente in tutti i sensi) film supereroistico in casa Sony, la volontà della produzione e della stessa regista S.J.Clarkson era di creare un film che evitasse i cliché supereroistici e che, soprattutto, fosse indirizzato ad un pubblico maggiormente al femminile. La presenza di cinque (presunte, perché poi all’effettivo nel film non ci sono) supereroine faceva ben sperare. E invece no. Come riportato dal The Hollywood Reporter, in Nord America il pubblico maschile rappresenta il 65/70% del totale per un cinecomic. E per Madame Web non è decisamente andata in modo diverso, visto che quello femminile si è assestato ad un misero 46%. Un fallimento anche su questo fronte, in una scellerata gestione del più grande flop supereroistico degli anni 2000.
Donne nel cinema: il caso del pubblico italiano
Di diverso avviso sono, invece, i trend per quanto riguarda le entrate in sala di pubblico femminile nel nostro paese. Ogni anno a partire dal 2022, Cinetel fornisce, attraverso il progetto CinExpert, una raccolta approfondita sui dati degli spettatori annuali in sala. Da questi dati emerge che, nel 2023, il pubblico femminile sia cresciuto tanto rispetto a quello del 2022. Lo scarto parla di un +77% che fa diventare il rapporto tra uomini e donne al cinema dal 44/56% del 2022 ad un più equilibrato 48/52% di differenza tra le due categorie. Una crescita sostanziale, che si unisce ad un trend di crescita in generale del nostro cinema che va avanti da un paio di anni. Ma questi dati vanno contestualizzati. E se è vero che lo scarto si assottiglia, è altrettanto vero che ci sono stati due titoli trainanti nell’anno solare come Barbie e C’è ancora domani, i due titoli che più di tutti hanno portato pubblico femminile nelle sale. E i dati risultano preoccupanti se inseriti nel contesto delle singole pellicole. Perché, in realtà, solamente questi due titoli risultano essere quelli con pubblico femminile maggioritario che, oltretutto, hanno incassato talmente tanto da poter spostare di molto gli equilibri. In sostanza, il pubblico femminile è sì cresciuto nel nostro paese, ma trainato da due soli titoli che non rappresentano la totalità e la presenza di un problema sistemico di rappresentanza ed identificazione. Sia nel nostro cinema, che in quello internazionale, come riportano i dati de Il Post.
Donne nel cinema: personaggi e rappresentazione
Se, invece, si vuole analizzare dei dati internazionali per quanto riguarda l’ambito della recitazione, viene in nostro aiuto il rapporto della dottoressa Martha Lauzen (direttrice esecutiva del Center for the Study of Women in Television and Film) dal titolo “It’s a Man’s (Celluloid) World”. L’analisi che ne emerge è preoccupante. Nel 2023, solamente il 23% dei film nella top 100 dei maggiori incassi presenta un numero maggiore (o uguale) di personaggi femminili rispetto a quelli maschili. Lo studio ha inoltre rilevato un ormai fisso 38% di personaggi femminili nei ruoli principali. Approfondendo i dati, si nota come praticamente tutti i personaggi femminili sono mediamente di circa 10 anni più giovani rispetto ai maschili, con una flessione in picco verso il basso sulle donne over 60. Ma non sono dati casuali, hanno tutti un significato fortemente culturale. La rappresentazione e l’immedesimazione risultano così tranciate in tutto e per tutto. Riuscire a trovare una donna in posizione di potere nel cinema del 2023 è, dati alla mano, molto più complicato rispetto al suo opposto. Si limita la capacità di poter ambire a posizioni di rilievo nella società, alimentando la cultura di una scalata che parte in salita e di una costante disparità di genere, come riportato dallo studio di Variety.
E nell’industria, invece?
Ci piacerebbe raccontare che la situazione sia diversa nella parte industriale del cinema, ma non è così. Uno studio internazionale interdisciplinare scritto da una molteplicità di studiose e studiosi, ha analizzato l’impatto della disparità di genere nell’industria. Presentato il 20 febbraio alla Berlinale, il rapporto dal titolo Re-Framing the Picture, analizza l’impatto delle politiche sulla parità di genere nell’industria tra il 2005 e il 2020 in Germania, Regno Unito e Canada. Nonostante dei dati incoraggianti, il progresso è lento. Troppo. Le posizioni di potere all’interno dei network sono ancora dominate dagli uomini. Rispettivamente l’86% in Germania, l’81% nel Regno Unito e l’82% in Canada. Così come le posizioni chiave creative sono dominate in ordine al 74, al 78 e al 77% da uomini. Secondo lo studio, a questo ritmo la parità di genere sarà raggiunta nel 2215 in Canada, nel 2085 nel Regno Unito e nel 2041 in Germania. Nonostante circoscritti a tre paese, rimangono dati avvilenti.
Vi è una necessità impellente di politiche sociali. Di interventi sistemici, mirati alla crescita sia dell’industria, sia del potere femminile al suo interno. E non si tratta di numeri, ma di posti adatti. La parità non è solo un numero uguale. La parità parte dallo sforzo politico di voler e poter dare pari opportunità a tutte e tutti di poter accedere a posizioni di potere. Perché solo con forza di volontà e forti intenzioni politiche sul territorio e nel settore che la parità può davvero dirsi raggiunta. E, ripetiamo, non si tratta di avere accesso all’industria, ma avere accesso alle posizione giuste al suo interno. L’espansione industriale (almeno nel nostro paese) è il passo fondamentale da compiere. Le politiche economiche devono necessariamente andare a braccetto con forti politiche di uguaglianza sociale.
Alessandro Libianchi
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