Cade l’Isis a Raqqa. E perde la sua “capitale”: la città siriana è stata conquistata dalle milizie curdo siriane, appoggiate dagli Usa. Hanno preso il controllo della zona dello stadio, ultimo bastione di resistenza dei jihadisti, su cui ora sventolano le bandiere delle Forze democratiche siriane, del Ypg e del suo braccio femminile, l’Ypj. E ora è caccia ai jihadisti ancora nascosti in città. Mentre Trump si prende il merito del successo militare. Anche se non è il suo.

Rojda Felat, comandante curdo-siriana del Fsd, nella Raqqa liberata credits:
afp

Raqqa è ufficialmente in mano ai curdi: lo hanno annunciato i portavoce delle forze democratiche siriane (Fsd) ieri mattina. Dopo l’ospedale, l’alleanza di milizie curde e arabe, appoggiate dagli Usa, ha fatto crollare anche l’ultimo bastione: lo stadio. Da ieri, al posto delle bandiere dell’Isis, sventolano quelle del Fsd. Ma anche quello dell’Ypg, le Unità di protezione del popolo curdo, e del suo braccio femminile, l’Ypj. Rojda Felat, comandante curdo-siriana delle operazioni Fsd a Raqqa, ha dichiarato che è in corso la messa in sicurezza lo stadio, localizzando e disinnescando le mine disseminate dai jihadisti.

Lo Stato Islamico, dunque, ha perso l’ultima città importante che controllava fra Siria e Iraq. Ma soprattutto il luogo che aveva eletto a capitale del suo “Califfato”. Come, la scorsa estate, era successo a Mosul con l’esercito iracheno, sempre appoggiato dagli Usa, era stata Mosul. Ma qui la “presa” è più significativa: a cadere è un luogo simbolo. Simbolo delle migliaia di combattenti stranieri anti Isis accorsi da tutto il mondo per combatterlo. Simbolo dell’amministrazione delle forze jihadiste: qui lo Stato Islamico aveva gli uffici della polizia e quelli per la gestione di documenti e tasse.

La lunga battaglia per Raqqa e il merito di Trump

Termina, o quasi, così un’offensiva iniziata a giugno e che ha visto lanciare l’assalto finale contro la città siriana domenica. Quasi, perché, come ha spiegato a Efe il portavoce delle Fsd Talal Salu, restano da stanare alcune sacche di jihadisti ancora a Raqqa. Si tratta di alcune cellule dormienti di Daesh. Secondo il comando Usa, invece, l’operazione “pulizia” non sarebbe ancora terminata, ma sarebbe a buon punto, “al 90 per cento”. 

Donald Trump credits: Getty Images

Una battaglia di cui Donald Trump si è attribuito subito il merito. Nonostante il fatto che sia iniziata due giorni prima della vittoria alle presidenziali dell’8 novembre scorso. Ma evidentemente è troppo il bisogno di consensi alla vigilia delle elezioni di midterm. Anche a rischio di essere smentito. Il tycoon ha infatti dichiarato:

“l’Isis non è stata sconfitta prima perché non avevate Trump come vostro presidente. Sono io che ho cambiato completamente le regole di ingaggio. Io ho cambiato i nostri militari, io ho cambiato completamente l’atteggiamento dei soldati e loro hanno fatto un lavoro fantastico e l’Isis ora sta cedendo, stanno cedendo, stanno sollevando le mani in aria, stanno andando via. Nessuno ha visto nulla di simile prima di me”

Trump a parte, termina così, con un’esplosione di rabbia e di gioia e con i blindati che vanno a tutta velocità per le strade distrutte di Raqqa e le sue macerie. La gioia dopo la battaglia, i morti, le decapitazioni, Alla fine di una delle pagine più dure della storia curda, come sanno esserlo tutti i combattimenti casa per casa, e quelli che coinvolgono anche i civili.  Ma è una pagina che non sarà ancora finita finché non si risolverà il problema foreign fighters. E le altre, ultime forze jihadiste  votate alla morte. Quei circa 15mila uomini dell’esercito di al-Baghdadi, che si è spostato a valle, lungo l’Eufrate, nelle ultime città siriane ancora parzialmente sotto il suo controllo.

Raqqa: il post liberazione

Raqqa non è più la capitale dell’Isis ed è tornata in mano ai curdi. E questo sembra un fatto ormai certo. La città siriana era stata scelta nel 2014 da al-Baghdadi per ragioni strategiche e di propaganda. Si trova nel cuore della valle dell’Eufrate, a metà strada fra Aleppo e Mosul, vicino al confine con la Turchia da dove arrivavano i combattenti dall’estero e i rifornimenti. Era una base perfetta per espandere il califfato, e nella storia era già stata scelta per lo stesso scopo più di mille anni fa. Il regno dell’Isis è durato tre anni e mezzo e ha fatto registrare scene atroci e violente nella città.

Senza Raqqa, e Mosul, il califfato è poca cosa ma non è ancora liquidato. Resta più di un nodo da sciogliere. E più di una situazione da risolvere. I nuclei ancora attivi, e pronti a dare la vita, dell’esercito di al-Baghdadi, ormai sparsi a valle, lungo l’Eufrate, nelle ultime città siriane ancora parzialmente sotto il suo controllo, Deir ez-Zour, Mayadin, e Abu Kamal, al confine con l’Iraq. E poi i nuclei sparsi sul lato iracheno, ad Al-Qaim e nelle zone desertiche circostanti, che attraversano la frontiera avanti e indietro, e lanciano assalti mordi e fuggi contro le postazioni isolate dell’esercito siriano, di quello iracheno e delle milizie sciite.

Il problema foreign fighters

Queste forze, dovrebbero ricevere alcuni rinforzi proprio da Raqqa. Anche perché i curdi, con una scelta che ha macchiato la vittoria, hanno deciso di chiudere la partita con una trattativa. Circa 300 combattenti siriani dell’Isis, con le loro famiglie, sono stati fatti uscire e portati via con decine di pullman. Gruppi in cui i foreign fighter francesi si potevano infiltrare e riguadagnare libertà d’azione. Il dubbio, e il problema, rimane ma per ora a dominare è la gioia per la vittoria.

​In attesa di nuovi scenari per Siria e Iraq, resta appunto il problema dei foreign fighters. Alcuni sono fuggiti attraverso corridoi sicuri nelle aree controllate dalle tribù locali. Zone franche da cui potrebbero agire da “lupi solitari”. Anche in Europa.  Per vendicare il sogno infranto di un grande Stato Islamico. Prevale la gioia per Raqqa, ma c’è ancora paura dei terroristi, soprattutto per l’Europa.

Federica Macchia