Ricordo ancora le pagine satinate delle riviste che sfogliavo, di quei corpi spigolosi incollati sulle riviste, che poi vedevo muoversi tra le interviste strappate su MTV. Tra i film che vedevo. Corpi estremamente magri, ossuti, corpi di donne senza forme, alte e belle. E noi, ragazzine, ci guardavamo allo specchio e i nostri corpi non erano mai come quelli che i media e la televisione ci mostravano.

I media e i disturbi alimentari: la narrazione tossica dei corpi delle donne che parte dagli anni ’90, una generazione nutrita di skinny culture

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Quando leggo i titoloni acchiappa click dei giornali che incolpano TikTok, Instagram, gli influencer dei disturbi del comportamento alimentare, faccio sempre un po’ fatica a nascondere una risatina ironica. Perché sento sulla mia stessa pelle quella tipica deresponsabilizzazione dell’adulto medio di tutti i mali del mondo. Io, millennial, che coi social non sono cresciuta, ma con la società malata e i media sì, non posso che provare un senso di vuoto all’altezza dello stomaco, quando ancora pensano di poter essere scagionati dall’essere stati tra gli artefici della narrazione tossica dei corpi (e dei disturbi alimentari)

Skinny è bello. Skinny è moda. Skinny è modello. Skinny è vita. Quel che hanno fatto i media alla generazione cresciuta durante gli anni ’90, è uno di quei taboo di cui troppo poco si parla. La nostra generazione ne porta i segni sulla pelle. Ci hanno nutrito a colpi di skinny culture, di diet culture, di thin privilege, di perenni body shaming, di desiderio normalizzato di essere pelle e ossa, di heroin chic, di modelli inarrivabili. E se oggi i social sono pericolosi, se oggi TikTok, Instagram, gli influencer sono portatori di messaggi tossici, è solo merito dei loro precursori. I social malati sono una conseguenza di una società malata, ben prima che esistesse internet.

Ricordo ancora le pagine satinate delle riviste che sfogliavo, di quei corpi incollati sulle riviste, che poi vedevo muoversi tra le interviste strappate su MTV. Tra i film che vedevo. Corpi estremamente magri, ossuti, corpi di donne senza forme, alte e belle. E noi, ci guardavamo allo specchio e i nostri corpi non erano mai come quelli che i media e la televisione ci mostravano. Gli anni ’90 sono stati spietati coi corpi delle donne: i media li hanno plasmati secondo ciò che voleva la società. Annientare il corpo della donna e convincere tutti, attraverso un modus operandi estremamente acuto e efficiente, che le donne dovevano praticamente annullarsi. Via la massa grassa, via il seno, via i fianchi, via tutto. Sì alle diete spietate, che riempivano le pagine dei giornali: come perdere X kg in 7 giorni. Forse togliendosi la pelle, pensavo io. Quelle diete che leggevamo su quei giornali, sono il preludio a un disturbo alimentare. Via i carboidrati, nemici estremi delle donne, mangiate qualche proteina, e bevete litrate di acqua. Fate tanta attività fisica.

Oggi mi chiedo, come sia possibile che tutto questo un tempo è stato legale? Come è possibile che nessuno abbia detto “fermiamoci, questa è un’arma letale”? Perché tutt’ora è ancora legale? Di disturbi del comportamento alimentare si muore. Lentamente, si muore.

Nessuno dice però che per arrivare ad un livello simile di magrezza, tutt’oggi propinato dai media e dai social, non si non vive più: non si hanno le energie per fare una passeggiata, per pensare, parlare, ridere, per cantare una canzone. Tutto è difficile. Una donna non ha più il ciclo mestruale. Si va in amenorrea. Il corpo va in riserva energetica, va in allerta, perché c’è qualcosa che non va. Ci si consuma. E la vita non funziona più. Avrei voluto un bel disclaimer su quelle diete killer. E lo vorrei su qualsiasi contenuto triggerante sui social.  Su qualsiasi messaggio sbagliato. Su qualsiasi commento sbagliato.

Vorrei che proteggessimo i corpi. Qualsiasi corpo. Che avessimo cura di noi. Dell’altro. Che smettessimo di dire sempre le cose sbagliate. Che imparassimo a capire cosa c’è dietro ogni singolo atteggiamento tossico della società.

Perché un giorno, nessun* più dovrà più morire di disturbi alimentari.

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