Oltre otto ore è durato l’interrogatorio di Giovanni Toti, nella caserma della Guardia di finanza di Molo Giano, nel porto di Genova.

Il governatore, ai domiciliari con l’accusa di corruzione e falso, ha risposto a tutte le 180 domande dei pubblici ministeri Federico Manotti e Luca Monteverde, titolari dell’inchiesta sulla corruzione in porto. Con loro anche il procuratore aggiunto Vittorio Ranieri Miniati. Il presidente della Regione Liguria ha depositato una memoria di 17 pagine: “Ogni euro incassato ha avuto una destinazione politica: nessun contributo ha prodotto arricchimento o utilità personale a me, agli altri appartenenti al mio partito o a terzi privati”.

“Ogni dazione di denaro – ha spiegato Toti – è stata accreditata con metodi tracciabili e rendicontata. Del pari tutte le spese sostenute sono state rendicontate e pubblicizzate in termini di legge e anche oltre. I bilanci e i rendiconti sono stati (e sono ancora) pubblicati sui siti internet delle organizzazioni politiche a mio sostegno”.

Nell’ordinanza di custodia cautelare “così come nell’intero impianto accusatorio si analizza solo una limitatissima parte dei rapporti tra amministrazione, presidente, e mondo del lavoro e delle imprese. E di tale limitatissima parte si fa paradigma per tutto il resto”, ha scritto Toti nella memoria consegnata ai pubblici ministeri durante l’interrogatorio. “Al contrario, l’atteggiamento e l’animus dei rapporti e dei contesti analizzati dovrebbe invece essere esaminato e interpretato alla luce della generalità e molteplicità dei rapporti di un lunghissimo periodo”.

Quel che dice Toti

Toti sostiene che la procura abbia esaminato e dato risalto a una minima parte dei rapporti e degli incontri avuti da quando è presidente. Rivendica di aver dato attenzione al “mondo privato” senza alcuna discriminazione, solo con l’obiettivo di tutelare gli interessi della Regione Liguria.

Per dimostrare questa tesi Toti fa i nomi di altri imprenditori e gruppi che ha incontrato e ascoltato negli ultimi anni, tra gli altri gli armatori Grimaldi, i fratelli Colaninno di Intermarine (tra cui Matteo, ex parlamentare del PD, specifica Toti), la società Peq Agri  della famiglia Luzzati, il gruppo Ferretti e il gruppo Baglietto costruttori di yacht di lusso, il gruppo Contship che gestisce terminal alla Spezia, i principali operatori di crociere (Costa, Royal Msc) oltre ad alcune delle più grandi aziende costruttrici italiane come Webuild, Pizzarotti e Fincantieri.

Toti dice di aver ricevuto le richieste di tutte queste aziende esattamente come ha fatto con il terminalista Aldo Spinelli, che secondo la procura avrebbe dato soldi al comitato elettorale di Toti in cambio di una concessione trentennale di un importante terminal del porto di Genova. «Nel rapportarmi con Spinelli, mi interessai alle questioni da lui sollevate in modo spesso disconnesso dal contesto e totalmente estraneo allo spirito della conversazione, attraverso un intervento sempre dettato dalla pubblica utilità e addirittura in contrasto con gli interessi di Spinelli stesso», ha scritto Toti nella memoria, sostenendo che l’assegnazione della concessione sia stata legittima.