In The Watchers, l’opera prima di Ishana Night Shyamalan, figlia d’arte di papà M. Night Shyamalan, coesistono due entità. E coesistono su vari, forse troppi, livelli. Esistono contemporaneamente la mano di Ishana Night Shyamalan alla regia e quella del padre alla produzione. E le due si intersecano costantemente. Lapalissiano che Ishana sia figlia di suo papà, in un film che riprende stili, tematiche e modi di intendere il cinema tipiche di M. Night. Elemento, questo, che diventa una delle parti più problematiche della pellicola. Perché per quanto normale sia che Ishana provi a riprendere le redini di un certo tipo di cinema paterno, non è altrettanto normale che The Watchers sembri in tutto e per tutto un film girato proprio da M. Night. Una volontà di portare avanti una fiaccola famigliare, ma che non fa emancipare una regista dalle istanze da cliffangher e soprannaturale tipiche di casa Shyamalan.
Ma sono anche altre le dicotomie palesi. C’è quella narrativa, che per evitare spoiler non racconteremo. Un doppio e una divisione che diventano sempre più palesi minuto dopo minuto. E poi c’è quella più grande, quella di scrittura. Il film sembra essere spaccato in due anche nella sua impostazione di genere. Perché se nella prima parte è un buon thriller-horror con un’idea forte alle spalle e un plot molto interessante, nella seconda cambia rotta, si inserisce in un percorso diverso e prende un sentiero da thriller di sopravvivenza, sfociando infine nel fantasy. Ma tutto senza lo stesso impatto e la stessa forza della prima parte. E nella seconda parte – questo il problema più grande – irrompe la necessità di spiegare tutto. Ma proprio tutto. E la magia, inevitabilmente, si spezza.
The Watchers – Loro ti guardano: temi
Mina è una giovane ragazza irlandese che combatte con i sensi di colpa di un passato travagliato e la scomparsa prematura della madre. Mentre affronta un viaggio tra le foreste irlandesi, la sua macchina si spegne e non sembra voler ripartire. Mentre si addentra nel bosco, si rende conto di non trovare più il mezzo ed è costretta a passare la notte lì. Ed è a quel punto che qualcosa di sinistro la comincia a pedinare, costringendola a correre tra gli alberi fino a raggiungere una strana struttura nel bosco con una lunga vetrata a specchio e altri tre occupanti anche loro arrivati lì dopo essersi persi nel bosco. Quella è la casa dove vengono osservati, dove le creature che popolano quel territorio passano le loro serate studiando il comportamento umano.
The Watchers sembra aprirsi con l’intento di voler affrontare il tema ecologico e ambientalista. I vari riferimenti alla deforestazione e all’impatto ambientale fanno prospettare una traiettoria sul tema. E invece il film vira, bruscamente, sul concetto cardine di almeno una porzione di pellicola. La metafora è quella della reality TV, palesata – per chi non l’avesse capita – dai dvd di programmi stile Shore che i prigionieri hanno a disposizione. E loro stessi sono personaggi televisivi, inscatolati in uno schermo che li mostra alle creature del bosco. Una sorta di esperimento sociale, un grande fratello di esseri ultraterreni. Una puntata di Black Mirror. Il problema – grande – è che questa linea, nobile e con tanti spunti interessanti, si esaurisce sul nascere. Non viene mai approfondita ma anzi, il film vira bruscamente in una dialettica di fuga e sopravvivenza, innescando il terzo tema messo in campo: il doppio e l’identità. È evidente che, con un’ora e quaranta di girato, non si possa affrontare con la dovuta cura un grande calderone di idee e tematiche, che si perdono nel nulla. Proprio come chi entra nel fitto bosco irlandese.
Tagliare i ponti
Se si va in sala con l’intento di vedere un film di M. Night Shyamalan di certo non si rimane delusi. Perché, purtroppo, un’impronta diversa da parte della figlia è molto lontana dall’essere presente. Potremmo parlare di un altro rapporto cinematografico padre-figlia, forse il più famoso. Quello dei Coppola, con Sofia che, pur attingendo dal realismo paterno, rimodula la sua cinematografia per farne cosa propria e creare una propria impronta. Già dal Giardino delle Vergini Suicide, suo esordio, era evidente questa rottura e distanza. In questo caso, vuoi perché l’effetto Shyamalan è troppo potente, vuoi perché era la strada più facile, ma Ishana non si discosta minimamente dalle orme del padre. Per carità, non fraintendetemi. Registicamente mette in piedi un film che intrattiene e ha degli spunti horror molto interessanti. Ma la speranza è che, almeno per il futuro, sappia distogliere lo sguardo dal cinema du papa. Magari approfondendo quella vena horror che dice di amare da sempre, lasciandosi alle spalle la vena fantasy della seconda parte di The Watchers.
Alessandro Libianchi
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