Al cuor non si comanda e, ancora meno, alle frecce di Cupido. Il sentimento più universale e “chiacchierato” di sempre, croce e delizia dell’essere umano, è una forza totalizzante che ci rende, nostro malgrado, deficienti. Tranquilli, nessuna offesa, deficiente deriva da “deficere”, mancare. Ed è proprio questo il fulcro di Amore e Psycho – educazione sentimentale per deficienti, di Federica Cacciola, attrice, voce radiofonica, autrice teatrale e letteraria. Tutti l’hanno conosciuta grazie alla sua identità fittizia, l’indimenticabile svampita “top” Martina Dell’Ombra, personaggio che ha fatto chiedere a un’intera nazione: «ma ci fa o ci è?». Ora, però, l’aspirante politica amica degli animali (ma solo di quelli carini) si è fatta da parte, e Federica è tornata ad essere se stessa. Lo dimostra chiaramente attraverso le pagine di un libro leggero e al tempo stesso profondo, che analizza tutte le tappe della relazione tra i protagonisti Anna e Marco -questi nomi vi dicono qualcosa?- affiancando ad essa i principali miti greci, ancestrali modelli di “malcostume” amoroso. La pazienza eccessiva di Penelope, i capricci di Zeus, la volubilità di Apollo; tutti schemi che si ripetono invariati dall’antichità, arrivando fino ai giorni nostri. Ma com’è stato intraprendere questo viaggio nella palude emotiva in cui uomini e donne sguazzano da millenni? Ne abbiamo parlato con l’autrice, che ieri ha presentato il suo libro a Roma.
Intervista a Federica Cacciola: scrivere mettendoci la faccia è un lavoro doloroso
M.M.: Federica, tu avevi già scritto un libro, intitolato Fake. Una storia vera, ma ti eri firmata come Martina Dell’Ombra, una maschera che, in qualche modo, ti proteggeva. Com’è stato, invece, metterci la faccia? Quali differenze hai riscontrato e che sensazioni hai provato nel pubblicare qualcosa che venisse dalla vera te?
Federica Cacciola: Sono state due cose completamente diverse. Quello scritto come Martina Dell’Ombra era un romanzo satirico, che è un genere particolare. È stato molto faticoso, perché ha dei codici ben precisi; ti devi confrontare con l’ironia, con la battuta, con la satira. Tra l’altro, sono libri che invecchiano presto, perché fanno riferimento all’attualità. Amore e Psycho, invece, è stato più semplice da un certo punto di vista, perché la narratrice sono io, però ho avuto a che fare con una materia emotiva molto più personale rispetto al passato, quindi è stato sicuramente un lavoro più doloroso, un processo più profondo. È un’analisi delle relazioni e dei sentimenti in generale, di tutto ciò che ho vissuto anche attraverso gli altri. Tutto quello che so sull’amore è in questo libro.
La formazione scolastica e quella emotiva, due facce della stessa medaglia
M.M.: Tu parli di deficienti collegandoti al verbo deficere, ovvero essere manchevoli di qualcosa. Questo riferimento al latino e l’utilizzo della mitologia lasciano intravedere la tua formazione classica e umanistica. In che modo questi studi hanno influenzato la stesura del libro?
Federica Cacciola: In tutto. Io sono appassionata di letteratura e classici sin da quando ero piccola. Ho scelto il liceo classico perché era una mia evoluzione naturale e, per un certo periodo, ho anche pensato che avrei fatto l’insegnante di greco e latino. Sin da bambina, alle fiabe ho preferito i miti. Gli studi classici sono connaturati alla mia persona, sono stati assolutamente formativi per me. Non riuscirei a immaginare me stessa senza riferimenti alla mitologia e alla letteratura.
M.M.: A proposito di scuola, siamo nel pieno degli esami di maturità. Tu che ricordi conservi di quell’esperienza? Quanto quel periodo ha contribuito a formarti come persona?
Federica Cacciola: Io ricordo la maturità con molta ansia, come quasi tutti gli avvenimenti della mia vita. Mi dispiace, perché l’ansia è una sensazione che sovrasta tutto il resto, e poi si fa fatica a ricordare altro. In realtà ricordo con molta ansia quasi tutto il liceo. Personalmente ho un ottimo ricordo del livello e della qualità degli studi, ma uno pessimo dell’ambiente umano. Quando dico questo non piace mai a chi mi ascolta; i miei ex compagni di classe si ribellano, perché hanno memoria di una me felice, ma io non lo ero per niente.
Figure mitologiche del passato e “falsi miti” dell’epoca moderna
M.M.: Passiamo dalla mitologia antica ad un altro essere mitologico più attuale: il narcisista, a volte definito “il male del secolo”. Tu lo tiri spesso in ballo all’interno del libro: cosa pensi di questa figura?
Federica Cacciola: Sicuramente viviamo nell’età del narcisismo, per cui anche dare addosso al narcisista di turno alla fine diventa un po’ ridicolo, perché è ormai un’impostazione della nostra epoca. Voglio dire, abbiamo tutti dei profili social. Viviamo con un telefono costantemente rivolto verso la nostra faccia, siamo abituati a riprenderci e a vederci continuamente, per cui è davvero il male del secolo in qualche modo, ma, in realtà, è una caratteristica della personalità umana, senza naturalmente entrare nella patologia. Ovviamente, qui non si parla di narcisista patologico, ma del mito di Narciso, di cui ho cercato di dare un’interpretazione mia, più profonda. Si fa presto a puntare il dito indicando tutti come narcisisti, quando sono solo stronzi, e si confonde il narcisista con la persona egoista o egoriferita, che ama solo se stessa. Il narcisista non può amare se stesso, perché ama la propria immagine, un riflesso, e quindi non si può amare, perché non si vede.
M.M.: Quindi è lui il vero deficiente emotivo?
Federica Cacciola: Tutti lo siamo, secondo me. Le categorizzazioni possono essere utili per fare una sintesi, ma non restituiscono la complessità emotiva dell’essere umano, mel momento in cui ha a che fare con i sentimenti.
Anna e Marco, due come noi
M.M.: Parlando di sentimenti, i protagonisti del romanzo si chiamano Anna e Marco, e il pensiero non può che andare all’omonima canzone di Lucio Dalla. In che modo questo brano ti ha ispirata?
Federica Cacciola: Lucio Dalla è un grande riferimento per me. Ho pensato ad Anna e Marco perché sono descritti come due tipi molto normali, e questa cosa mi piaceva, perché «Marco grosse scarpe e poca carne, Marco cuore in allarme, con sua madre e una sorella, poca vita, sempre quella» e «Anna bello sguardo, sguardo che ogni giorno perde qualcosa» sembra la descrizione standard di qualunque ragazzo o ragazza. Loro non hanno niente di speciale, sono un po’ dei disperati, abbandonati a loro stessi, finché, a un certo punto, s’incontrano, si trovano e poi si ritrovano. Mi piaceva quindi l’idea di servirmi di persone così comuni per raccontare la storia di Amore e Psycho.
Federica cacciola e il filo di Arianna, metafora di salvezza
M.M.: Per concludere, restando in tema di personaggi e tornando un momento alla mitologia, c’è un eroe o un’eroina in cui ti identifichi o che senti a te affine?
Federica Cacciola: Oddio, se ci penso mi viene da piangere. Sono molto legata al mito di Arianna, che porta Teseo fuori dal labirinto grazie al suo filo. Arianna è una principessa che vive in un castello, ma è essa stessa in un labirinto, prigioniera. Vive in un posto molto violento, dove ogni anno vengono sacrificati dei ragazzi a suo fratello, il Minotauro. La sua famiglia è cresciuta nel sangue, nella vendetta, nella lotta, ma lei è diversa da tutto questo. S’innamora di questo eroe e trova l’escamotage del filo, del gomitolo, per liberarlo dal labirinto e, così facendo, salva anche se stessa, sacrificando suo fratello. Teseo la porta via con sé, come promesso, ma a un certo punto la molla, l’abbandona su un’isola. Lei, disperata, piange e invece ha il più bel finale di tutta la mitologia. Dioniso, che è il dio del caos, del sesso, del vino, il malessere per eccellenza, s’innamora di lei, la porta sull’Olimpo e stanno insieme per sempre. Legano Amore e Psiche, Eros, follia e quel filo rosso di ragione che è logica e salvezza. Perché Arianna, in fondo, è questo, salvezza. Mi piace immaginare quel filo rosso che può unire ciò che non sarebbe unibile, cioè l’Amore. È un lieto fine, e io credo tanto nel lieto fine.
Federica Checchia
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