Venerdì il Dicastero per la Dottrina della Fede, l’organo della Chiesa che si occupa tra le altre cose di promuovere e tutelare la dottrina cattolica (fino al 1908 noto come Santa Inquisizione), ha dichiarato la scomunica di Monsignor Carlo Maria Viganò, arcivescovo della Chiesa cattolica e nunzio apostolico negli Stati Uniti dal 2011 al 2016. Viganò è stato ritenuto colpevole di scisma, cioè di aver provocato divisioni nella Chiesa cattolica: la scomunica comporta l’abbandono dello stato sacerdotale. Il processo che ha portato a questa decisione non ha riguardato la giustizia ordinaria, ma quella interna alla Chiesa.

Viganò era stato accusato di scisma a fine giugno, dopo anni in cui aveva fatto dichiarazioni e assunto posizioni apertamente ostili nei confronti di papa Francesco e aveva appoggiato una serie di teorie del complotto, tra cui quelle di “QAnon”, molto diffuse negli ambienti di estrema destra.

Il Dicastero per la Dottrina della Fede ha motivato la decisione citando varie dichiarazioni pubbliche di Viganò dalle quali emergeva il suo rifiuto «di riconoscere e sottomettersi al Sommo Pontefice, della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti e della legittimità e dell’autorità magisteriale del Concilio Ecumenico Vaticano II», cioè la grande riunione di tutti i vescovi del mondo in cui tra il 1962 e il 1965 vennero discussi i rapporti tra la Chiesa e la società moderna.

Il 21 giugno era stato lo stesso Viganò a rendere pubblico il decreto che lo convocava a Roma per il processo extragiudiziale. L’ex nunzio non si è presentato e non ha nominato un avvocato difensore né presentato alcuna memoria difensiva. Così è stato nominato un difensore d’ufficio che lo ha rappresentato nelle udienze. Del resto la replica dell’arcivescovo, affidata ai social, suonava come una rivendicazione di ciò che gli era contestato: «Considero le accuse rivolte nei miei riguardi come un motivo di onore. Credo che la formulazione stessa dei capi d’accusa confermi le tesi che ho più e più volte sostenuto nei miei interventi. Non è un caso che l’accusa riguardi la messa in discussione della legittimità di Jorge Mario Bergoglio e il rifiuto del Vaticano II: il Concilio rappresenta il cancro ideologico, teologico, morale e liturgico di cui la bergogliana “chiesa sinodale” è necessaria metastasi». Per Viganò, insomma, «nessun cattolico degno di questo nome può essere in comunione con questa “chiesa bergogliana” perché essa agisce in evidente discontinuità e rottura con tutti i Papi della storia e con la Chiesa di Cristo».

Del resto la replica dell’arcivescovo, affidata ai social, suonava come una rivendicazione di ciò che gli era contestato: «Considero le accuse rivolte nei miei riguardi come un motivo di onore. Credo che la formulazione stessa dei capi d’accusa confermi le tesi che ho più e più volte sostenuto nei miei interventi. Non è un caso che l’accusa riguardi la messa in discussione della legittimità di Jorge Mario Bergoglio e il rifiuto del Vaticano II: il Concilio rappresenta il cancro ideologico, teologico, morale e liturgico di cui la bergogliana “chiesa sinodale” è necessaria metastasi». 

Per Viganò, insomma, «nessun cattolico degno di questo nome può essere in comunione con questa “chiesa bergogliana” perché essa agisce in evidente discontinuità e rottura con tutti i Papi della storia e con la Chiesa di Cristo».