Dopo la pubblicazione delle intercettazioni del colloquio in carcere tra Nicola Turetta e il figlio Filippo, emergono parole che hanno scatenato indignazione ma il padre si difende per le affermazioni fatte al figlio: “Temevo si suicidasse”.
Hanno suscitato grande scalpore le parole pronunciate da Nicola Turetta al figlio Filippo, accusato dell’omicidio di Giulia Cecchettin, durante una visita in carcere. Le intercettazioni pubblicate dai media hanno rivelato un tentativo disperato del padre di confortare il figlio, che ha scatenato una forte ondata di indignazione pubblica. Nicola Turetta ha recentemente chiesto scusa, definendo quelle frasi come “stupide e senza senso” . Spiega inoltre che erano dettate dalla paura che Filippo potesse suicidarsi in seguito alla detenzione.
Il femminicidio di Cecchettin per mano di Turetta ha scosso l’Italia e non si può negare:
Il caso di Giulia Cecchettin è diventato emblematico nella lotta contro la violenza di genere in Italia. Giulia è stata brutalmente uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta nel novembre 2023. Il delitto ha avuto un forte impatto sull’opinione pubblica, soprattutto grazie all’attivismo della sorella di Giulia. Elena Cecchettin è diventata un’icona del movimento femminista in Italia. La sorella di Giulia ha costantemente denunciato la cultura patriarcale e la necessità di maggiori protezioni per le donne. Ha puntato intelligentemente il dito contro un sistema che spesso fallisce nel prevenire tali tragedie piuttosto che verso il singolo femminicida.
Infatti sono proprio le parole di Elena Cecchettin che, attingendo a piene mani dalla retorica transfemminista, definiscono Turetta come “figlio sano del Patriarcato”. La frase vuole mettere in luce come il problema del femminicidio sia culturale. Il femminicidio è da imputare ad errori strutturali della visione sociale dei ruoli di genere, piuttosto che una mera e atomizzata colpa del singolo.
Il caso ha scosso particolarmente l’opinione pubblica e ha innescato un dibattito molto acceso sui temi dell’uguaglianza di genere e i diritti delle donne. Contemporaneamente, purtroppo, la macchina mediatica ha dimostrato ancora una volta di non saper pienamente interpretare (o non volerlo fare) le spinte sociali della contemporaneità. Il dibattito giornalistico è fermo sul mero sensazionalismo, sulla pornografia del dolore. Questa produzione mediatica non solo è inutile, ma forse è addirittura deleteria.
Nicola Turetta e la problematicità delle affermazioni al figlio:
Durante il colloquio in carcere, Nicola Turetta ha detto al figlio, tra le varie, che “non è un assassino comune” e che doveva farsi forza. Questo tentativo di confortare Filippo è stato interpretato da molti come una minimizzazione del crimine commesso. Nicola ha spiegato di aver parlato così per evitare che Filippo si togliesse la vita. La scelta riguarda la pressione psicologica e il rischio di suicidio evidenziato dalle autorità carcerarie. L’uomo ha dichiarato di vergognarsi profondamente per quelle parole, che ritiene siano state fraintese e fuori contesto, chiedendo comprensione per il momento di disperazione vissuto.
Nicola Turetta, in una recente intervista, ha infatti espresso profondo rammarico per le parole dette a suo figlio. Ha cercato di spiegare il contesto di estrema tensione e disperazione in cui si trovava la famiglia. Ha affermato di non credere che i femminicidi siano accettabili, sottolineando che quelle parole erano frutto della paura di perdere Filippo.
Nonostante le scuse, le dichiarazioni hanno generato un dibattito acceso sul femminismo e sulla deontologia giornalistica. Molti si sono chiesti se fosse stato giusto pubblicare quelle intercettazioni private, considerando il rischio di ulteriori sofferenze per la famiglia Turetta. Ricordiamo che la famiglia di Filippo è anch’essa segnata da un’immensa tragedia personale: quella di scoprire che il proprio figlio ha commesso un femminicidio.
Non solo eticamente sbagliato, ma anche lesivo per le indagini!
L’avvocata Francesca Florio fa giustamente notare sui suoi social la possibile lesione dell’art. 379bis del Codice Penale che disciplina il reato di “Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria”:
“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque rivela indebitamente notizie segrete concernenti un procedimento penale, da lui apprese per avere partecipato o assistito ad un atto del procedimento stesso, è punito con la reclusione fino a un anno. La stessa pena si applica alla persona che, dopo aver rilasciato dichiarazioni nel corso delle indagini preliminari, non osserva il divieto imposto dal pubblico ministero ai sensi dell’articolo 391 quinquies del codice di procedura penale.”
Il diritto all’informazione deve essere bilanciato con il rispetto della dignità delle persone coinvolte ma anche con la protezione della verità giudiziaria. Rivelare conversazioni private può distorcere il contesto e influenzare l’opinione pubblica. Può potenzialmente influenzare le dichiarazioni future dei testimoni. In tal senso, i media potrebbero essere visti come parte di un sistema che, se non gestito con attenzione, può avvicinarsi pericolosamente alla manipolazione delle dichiarazioni giudiziarie, contravvenendo allo spirito dell’articolo 379-bis.
Sebbene non vi siano prove che l’articolo 379-bis sia stato direttamente violato, la situazione sottolinea l’importanza di proteggere le dichiarazioni dalla manipolazione, sia essa intenzionale o meno. Allo stesso tempo, la deontologia giornalistica deve essere rispettata per evitare di alimentare un clima di voyeurismo e sensazionalismo che può compromettere la giustizia e la dignità delle persone coinvolte.
Su Nicola Turetta e le affermazioni al figlio è necessaria una critica femminista, ma anche una critica alla deontologia del giornalismo:
Sui social media, numerosi utenti hanno espresso la loro frustrazione, evidenziando come tali affermazioni possano minimizzare la gravità dei femminicidi. Elena Cecchettin ha commentato con dolore quanto emerso dalle intercettazioni, ribadendo l’importanza di combattere la cultura della violenza contro le donne. Alcuni giornalisti e personalità pubbliche hanno difeso la famiglia Turetta. Sostengono che la pubblicazione di tali conversazioni non contribuisce a una comprensione più profonda della tragedia, ma piuttosto alimenta un voyeurismo morboso.
La diffusione delle intercettazioni private tra Nicola e Filippo Turetta solleva importanti questioni etiche. Sebbene le parole del padre di Filippo siano indubbiamente problematiche e offensive, la decisione di renderle pubbliche può essere vista come un atto di scarsa deontologia giornalistica. La pubblicazione sembra alimentare il sensazionalismo, piuttosto che promuovere una discussione costruttiva sulla violenza di genere e le sue radici culturali.
Maria Paola Pizzonia, autore presso Metropolitan Magazine