La convention del Partito Democratico statunitense si è conclusa giovedì sera a Chicago con il discorso finale di Kamala Harris, vicepresidente uscente e prima donna nera candidata alla presidenza degli Stati Uniti

La sua prima esigenza era mettere la novità radicale della sua candidatura – donna, nera, immigrata di seconda generazione – nel contesto più ampio della storia del paese, descrivendola quindi implicitamente come naturale.

«America, la strada che mi ha portato qui nelle ultime settimane è stata senza dubbio inaspettata. Ma non sono nuova ai viaggi improbabili. Mia madre aveva 19 anni attraversò il mondo da sola, dall’India alla California, col sogno di fare la scienziata per studiare il cancro. Quando completò i suoi studi, sarebbe dovuta tornare a casa dove la aspettava un matrimonio combinato»

Invece la madre restò negli Stati Uniti, sposò un ricercatore giamaicano che aveva conosciuto militando nel movimento per i diritti civili degli afroamericani, e da quel matrimonio nacquero lei e la sorella Maya. Harris ha enfatizzato la sua appartenenza alla classe media e anche il fatto che, dopo il divorzio dei genitori, fu cresciuta non solo dalla madre ma dalla più ampia comunità dei quartieri popolari di Oakland, in California, dove viveva in affitto.

Nella seconda parte del discorso ha raccontato invece la sua carriera da procuratrice, spiegando quindi anche l’origine di uno dei suoi slogan, “Kamala for the people”. All’inizio di un processo sia i procuratori che gli avvocati dichiarano chi stanno difendendo, e nel caso dei procuratori – cioè la pubblica accusa – difendono la popolazione, non la vittima del presunto reato. «Nel nostro sistema della giustizia, un torto inflitto a una persona è un torto inflitto a tutti. Per tutta la mia vita ho avuto un solo cliente: the people, le persone».

«Potete star certi che metterò sempre il paese davanti al partito e a me stessa. Che mi aggrapperò ai più sacri e fondamentali principi del nostro paese. Lo stato di diritto. Le libere elezioni. Il trasferimento pacifico del potere. Sarò una presidente che unisce le persone attorno alle loro più alte aspirazioni. Che guida e che ascolta. Che è realistica. Pratica. Che ha buon senso»

Harris ha poi accusato Trump di voler introdurre una nuova «tassa nazionale sugli acquisti» – un’espressione che ha adottato da qualche tempo per descrivere le conseguenze dei dazi che propone – e ha promesso di «mettere al sicuro il confine» in un modo che sia «all’altezza della storia orgogliosa di una nazione di immigrati». Poi è arrivata alla politica estera, e quindi a uno dei passaggi più attesi: quello su Israele e Palestina.

«Stiamo lavorando giorno e notte per arrivare ora alla liberazione degli ostaggi e al cessate il fuoco. Voglio essere chiara: difenderò sempre il diritto di Israele di esistere e mi assicurerò che Israele abbia la capacità di difendersi. Perché quel popolo non debba mai più affrontare l’orrore che Hamas ha causato il 7 ottobre, le violenze sessuali indicibili, il massacro dei giovani che erano andati a vedere un festival.

Allo stesso tempo, quello che è successo a Gaza negli ultimi dieci mesi è devastante. Così tante vittime innocenti. Persone disperate, affamate, costantemente in fuga. La dimensione della sofferenza è lancinante. Vogliamo che questa guerra finisca. Che Israele sia sicuro. Che gli ostaggi vengano liberati. Che le sofferenze a Gaza finiscano. Che il popolo palestinese realizzi il suo diritto alla libertà, alla sicurezza e all’autodeterminazione»

Il finale del discorso è stato molto alto e ottimista, legando passato e presente degli Stati Uniti, la storia personale di Harris e la storia più ampia del paese; un altro tentativo di sottrarre ai Repubblicani uno dei loro temi più forti, il patriottismo, oltre alla libertà.

«America, mostriamoci l’un l’altro e mostriamo al mondo chi siamo. E da che parte stiamo. Libertà. Opportunità. Compassione. Dignità. Giustizia. E infinite possibilità. Siamo gli eredi della più grande democrazia nella storia del mondo. Lo dobbiamo ai nostri figli e ai nostri nipoti, e a chi ha sacrificato così tanto per la democrazia e la libertà: dobbiamo essere all’altezza di questo momento.

Ora tocca a noi fare quello che hanno fatto le generazioni che ci hanno preceduto. Batterci per gli ideali in cui crediamo. Assumerci le responsabilità che arrivano con il più grande privilegio sulla Terra. Il privilegio e l’orgoglio di essere americani. Quindi usciamo da qui e battiamoci. Usciamo da qui e votiamo. E scriviamo insieme il prossimo capitolo della storia più straordinaria di sempre»