Milano la Palestina dopo la partita per compiere una denuncia contro la violenza dell’occupazione israeliana: si svela tutta l’ipocrisia della comunità internazionale e della stampa italiana.

Il recente corteo pro-palestinese tenutosi a Milano ha visto una vasta partecipazione di molti attivisti. Essi sono scesi in piazza per manifestare contro l’occupazione israeliana e in sostegno alla resistenza palestinese. Sui media filo-israeliani e in alcuni ambienti politici è stato definito “vergognoso” e “pro-Hamas”. Una narrazione semplificante con ossessiva enfasi agli slogan e agli applausi per i “ragazzi di Amsterdam”. Certamente critici. Tuttavia, per comprendere a fondo il significato della manifestazione e le ragioni dietro le reazioni dei presenti, non basta. Infatti, è necessario ricostruire il contesto dei recenti scontri che hanno avuto luogo ad Amsterdam e delle radici storiche che alimentano la rabbia pro-palestinese.

Da dove è iniziato tutto (non a Milano): la narrativa dominante che distorce i fatti di Amsterdam per invisibilizzare la Palestina

In fonti come Il Giornale (che ama, impunito, distorcere la realtà ormai da mesi, come scrivesse stati su X e non articoli) il corteo viene dipinto come un incitamento alla violenza. Si descrive l’applauso ai “ragazzi di Amsterdam” viene descritto come un elogio di un “pogrom” contro i tifosi israeliani del Maccabi Tel Aviv. Peccato non sia così. Infatti, testate come Repubblica e Il Manifesto rivelano dettagli fondamentali che cambiano significativamente la percezione dell’evento: i tifosi del Maccabi Tel Aviv, ben lontani dall’essere vittime passive, avrebbero scatenato forti provocazioni già prima della partita contro l’Ajax. Testimonianze e video mostrano i supporter israeliani mentre strappavano bandiere palestinesi. Ma soprattutto, mente intonavano slogan esplicitamente violenti come

“Israele distruggerà gli arabi”

e

“Non ci sono più scuole a Gaza perché non restano più bambini”

Questi episodi, confermati dal capo della polizia di Amsterdam, Peter Holla, sono la chiave per comprendere la successiva esplosione di rabbia da parte dei pro-palestinesi.

Dunque, lungi dall’essere un’azione unilaterale antisemita, la reazione di Amsterdam è il frutto di provocazioni dirette e della crescente intolleranza promossa dai nazionalisti israeliani. Le accuse di “pogrom” e “antisemitismo” appaiono, alla luce di questi dettagli, come strumentalizzazioni volte a deviare l’attenzione dalle reali problematiche che affliggono i palestinesi.

Sionismo e vittimismo a braccetto? Cantano “non ci sono più bambini a Gaza” ma i violenti sono gli altri

Una delle frasi più discusse al corteo di Milano è stata la critica al “vittimismo sionista”. Questo concetto, spesso utilizzato dai movimenti pro-palestinesi, ha un significato molto preciso e circoscritto. Si riferisce alla percezione che il governo israeliano sfrutti il ricordo dell’Olocausto e il trauma storico della Shoah in modo schiettamente strumentale. Lo scopo, ovviamente, è giustificare politiche di repressione sistematica contro i palestinesi. È importante ricordare che il sionismo, nella sua forma più estremista, ha promosso e legittimato insediamenti nei territori occupati. Il sionismo promuove azioni militari che, per la comunità internazionale, equivalgono a un genocidio. Il sionismo è: bombardamenti su scuole, ospedali e abitazioni palestinesi, raid e arresti arbitrari, un isolamento territoriale che impedisce una vita dignitosa.

I sostenitori di Israele (come Ursula von der Leyen, Joe Biden e Geert Wilders) sono stati pronti a condannare la reazione dei palestinesi di Amsterdam. Ciò, ignorando (ormai è ovvio: in schietta malafede) le provocazioni originarie e l’incitamento alla violenza da parte degli ultrà israeliani. Questo doppio standard è stato evidenziato anche dalla deputata olandese Esther Ouwehand. La deputata ha sottolineato come la politica olandese abbia permesso a tifosi nazionalisti di sfilare per le strade di Amsterdam con impunità, lanciando slogan offensivi e destabilizzanti. Quando un fenomeno viene analizzato in tutta la sua complessità, a quanto pare emergono le zone d’ombra.

La rabbia di Milano per la Palestina è giusta; è il genocidio, il sionismo, il crimine di guerra ad essere sbagliato

A Milano, molti manifestanti hanno ribadito il loro sostegno alla resistenza palestinese come diritto alla lotta per la liberazione. Gli slogan come “un sasso qua, un sasso là, un sasso per la libertà” richiamano all’Intifada e alla lunga storia di lotta palestinese contro l’occupazione. Intifada non è una parolaccia e non è sinonimo di terrorismo: questa resistenza è, per i palestinesi, un atto di sopravvivenza contro una potenza occupante militarizzata. Sarebbe importante per noi come lettori (ma anche come giornalisti) riportare informazioni basate sullo studio dei fatti e della storia. Non farlo è sintomo di scarsa cultura o, peggio, malafede e malignità.

L’ipocrisia della comunità internazionale ( e dei media nostrani) nel trattare la causa palestinese è evidente. Mentre la violenza israeliana è giustificata come difesa nazionale, ogni forma di protesta palestinese è etichettata come terrorismo. Gli attivisti milanesi hanno evidenziato come le politiche israeliane abbiano raggiunto una brutalità estrema, sostenuta dall’inerzia e dall’appoggio tacito dell’Occidente.

La questione di Sinwar rispetto alla questione di Milano e della Palestina

Uno dei punti più criticati dai media filo-israeliani è stato l’uso di fotografie di Yahya Sinwar, leader di Hamas, considerato “la mente” dietro i recenti attacchi del 7 ottobre. I manifestanti di Milano, tuttavia, hanno spiegato che la presenza di immagini di Sinwar rappresenta un simbolo della resistenza palestinese, inteso non come incitamento alla violenza, ma come rifiuto di un’occupazione percepita come genocida. Sinwar, infatti, incarna per molti palestinesi la figura di un combattente che oppone una resistenza disperata contro una potenza occupante che, come riportato nella nota diffusa da Potere al Popolo, agisce con impunità e violenza estrema.

La rappresentazione di Sinwar come simbolo di resistenza va dunque contestualizzata: per i palestinesi, Hamas è una delle poche forze in grado di rispondere militarmente all’occupazione, nonostante le sue azioni siano condannate da molte organizzazioni internazionali. In questo senso, la demonizzazione di figure come Sinwar serve spesso a distogliere l’attenzione dai crimini israeliani. La necessità di resistenza è evidente: mentre i media si indignano per i 10 tifosi israeliani feriti ad Amsterdam, il massacro dei 42.924 palestinesi uccisi e dei 100.833 feriti a Gaza passa quasi inosservato: l’ennesima prova che per alcuni, certe vite valgono meno di altre.

Oltre la retorica (vuota e sciocca) del conflitto, vogliamo il diritto alla dignità e alla giustizia

Il corteo pro-palestinese di Milano, come tanti altri in Europa, è stato una manifestazione di rabbia (ma anche di solidarietà) contro un’occupazione sistematicamente oppressiva e un genocidio. L’accusa di “antisemitismo” e di “apologia di terrorismo” viene utilizzata in modo strumentale per ridurre al silenzio ogni critica verso Israele e verso il sionismo . Parliamo di un sistema che, sotto il vessillo delle sue idee, giustifica la violenza quotidiana e le privazioni inflitte alla popolazione palestinese. Denunciato al livello internazionale per uno dei peggiori crimini di guerra. La storia ci osserva, ci osserva fallire e tradire gli ideali di pace e giustizia.

Gli scontri di Amsterdam sono stati ingigantiti mediaticamente e distorti. Lo scopo è confermare la narrazione dominante del “terrorismo palestinese”, distogliendo l’attenzione dalle responsabilità israeliane nel pre-partita e non solo. Dobbiamo ricordare la resposanibiltà di Israele nella destabilizzazione della regione e dai crimini perpetrati contro i civili. Questa indignazione selettiva appare ancora più ipocrita se confrontata con l’indifferenza per i 42.924 palestinesi uccisi e i 100.833 feriti a Gaza: ma per noi il problema sono 10 tifosi israeliani.

Il sostegno alla resistenza palestinese rappresenta, dunque, un atto di dignità collettiva e un grido di protesta contro un’occupazione che dura da troppo tempo. È la richiesta di una giustizia che, per i palestinesi, resta un miraggio. Una richiesta lecita, di autodeterminarsi, tuttavia soffocata. A Gaza l’umanità è negata. Infine, come dimostrano le testimonianze raccolte, questa non è la storia completa. Chissà de i giornalisti che scrivono tali menzogne dormono sonni tranquilli.

Maria Paola Pizzonia, Autore presso Metropolitan Magazine