Quando si parla di Pasolini, generalmente, si rischia di cadere nel mero semplicismo, sulla moda del momento. Massimo Popolizio ha confutato drasticamente questo modus, travolgendo il pubblico in un neorealismo verace, corale ed etereo.
“Ragazzi di vita”, il primo romanzo scritto dall’intellettuale più importante di tutti i tempi quale Pasolini, viene riadattato egregiamente da Emanuele Trevi, scegliendo alcuni capitoli del libro, assemblandoli in una chiave diversa, in un connubio di ironia e di mal di vivere, fra euforia collettiva ed una scenografia disadorna, semplice ed essenziale.
Le borgate sono intrise da un vortice di delinquenza, sopravvivenza e prostituzione, vissute appieno proprio dai “ragazzi di vita”, protagonisti assoluti delle strade Romane, cresciuti troppo in fretta “ruzzicando, cantando, con le camicette che svolazzavano sui calzoni”.
Ognuno di loro, caratterizzato da epiteti romaneschi; Riccietto, Agnolo, Begalone, Alvaro. Solo alcuni nomi che rappresentano in modo lampante la vita delle periferie, topos quest’ultimo molto caro a Pasolini.
Presenti alcune tematiche già proposte dall’artista e poeta di Casarsa, come quella della prostituzione, presente già nella pellicola “Mamma Roma”. La questione della delinquenza, dei furti, della “grana”, oggetto del film “Accattone”. L’omosessualità, in penombra, per la sua spinosità e la sua delicatezza. Ma Pasolini era già anni luce avanti ad ogni tipo di pensiero. Lui era puro intelletto.
Diciotto giovani ragazzi, veritieri e plastici, come statue marmoree, che si muovevano in un dialettica vocale e fisica, correlata, in modo autentico. Una recitazione anti Stanislavskiana, che riconduceva ad un contact fisico e un esercizio vocale proprio della biomeccanica.
In quella etereogeneità, si immetteva in tutta la sua bravura e la sua gestualità, il narratore onnisciente, intepretato da Lino Guanciale, che guardava le vicende separato da una sorta di velo di maya. Non troppo vicino ma neanche troppo lontano. Mescolando la prima e la terza persona abilmente, in un’autonomia collettiva.
In questo quadro polifonico, inframezzato da liriche tipiche della tradizione Romana, questi attori novelli ci trasportano, con un pizzico di magia e con una carrellata di ilarità, nelle borgate della vecchia Roma, fra Tuscolano, Prenestino, passando per le spiaggie pullulanti di Ostia.
Un neorealismo Pasoliniano, presentato religiosamente in scena da un’ottima regia e un’altrettanta drammaturgia. Eccellenti gli attori, nel loro dialetto romanesco puro, nella loro euforia dialettica e gestuale.
Sorprendente la presenza cospicua di pubblico giovanile, assistendo fra molteplici sorrisi, a questo must artistico, assolutamente da non perdere.