Superato ormai il giro di boa di metà stagione, quali giocatori si sono meritati, ad oggi, i premi individuali per la regular season 2017/2018?
MVP: LeBron James
Il Re sta disputando probabilmente la sua miglior stagione in carriera nonostante i 33 anni di età e negli ultimi tempi ha migliorato ulteriormente il suo gioco, soprattutto nei punti carenti quali tiro da 3 e gestione a fine partita. Il rientro a pieno ritmo di Thomas toglierà dei possessi a James e probabilmente calerà anche il suo minutaggio (Al momento LeBron sta giocando quasi 37 minuti a gara), ma d’altro canto toglierà pressione a colui che è stato il solo creatore di gioco palla in mano del quintetto dei Cavaliers in questa prima metà di stagione, permettendogli di giocare anche lontano dalla palla, spendendo quindi meno energie in vista dei playoff e delle probabili Finals. Il suo principale antagonista è James Harden che sta ripetendo un’annata da favola nonostante i nuovi innesti nel roster di Houston (Chris Paul fra tutti) che potevano rendere difficile al Barba il confermarsi sui livelli di una stagione da “quasi MVP” (Per l’articolo a riguardo clicca qui) come quella passata.
ROY: Ben Simmons
L’assegnazione di questo premio sembrava essere scontata già dopo poche settimane dall’inizio della stagione con Ben Simmons unico rookie a spiccare nettamente tra i suoi colleghi al primo anno, ma così non è stato: Donovan Mitchell dei Jazz e Kyle Kuzma (Rispettivamente 18.9 e 16.8 punti di media) sono saliti prepotentemente alla ribalta e sono i due migliori realizzatori nella classe del Draft di quest’anno, con la guardia che è ormai il go-to-guy della squadra di coach Snyder e con la “steal of the Draft” dei losangelini che sta innalzando il livello del suo gioco ogni notte, dimostrando anche una mentalità che gli ha permesso di essere il primo giocatore di questo roster dei Lakers a essere contattato da Kobe Bryant per dei consigli. Nonostante ciò, il ragazzo al primo anno che sta facendo meglio in questa prima metà della stagione è comunque Simmons, che, giocando da playmaker e mettendo insieme dei numeri mai visti per un giovane alla prima stagione nella Lega (16.8 punti, 8.0 rimbalzi, 7.3 assist, 1.9 rubate e 1.0 stoppate) sta prendendo in mano i sempre più suoi Philadelphia 76ers per guidarli nella rinascita, con la speranza di un approdo ai playoff a fine stagione e con il compimento reale del “Process” (Per l’articolo sul perché bisogna “Fidarsi del Processo” clicca qui) da agguantare nelle prossime stagioni.
MIP: Victor Oladipo
L’ex Thunder e Magic è tornato nell’Indiana dove ha disputato la sua carriera al college e ha ritovato sé stesso: il suo fatturato è salito da 15.9 a 24.3 punti ed è migliorato anche in tutti gli altri campi statistici rispetto alla scorsa stagione. Sta guidando i Pacers ad un’annata da playoff grazie a prestazioni sempre più da leader e una chiamata all’All-Star Game è molto più probabile di quello che si pensi, visto che si sta dimostrando più che all’altezza nel riempire il vuoto lasciato da Paul George, grazie alle doti tecniche che sono uscite finalmente fuori in aggiunta alle qualità fisiche che mai gli sono mancate. Il suo rivale più accreditato è Kristaps Porzingis che è nel bel mezzo del suo breakout-year per consacrarsi definitivamente tra le stelle della NBA, ma i suoi miglioramenti, almeno ad oggi, non sono palesi come quelli dell’ex seconda scelta assoluta.
SMOY: Lou Williams
La guardia dei Clippers sta vivendo il suo carreer-year al suo tredicesimo anno nella lega ed è la seconda opzione offensiva tra le mani di coach riverso che lo sa sfruttare appieno in ogni momento della partita. Per i numeri che sta mettendo insieme (23.3 punti, 5.0 assist e 2.5 rimbalzi) per ora non ha rivali nella corsa al premio di miglio uomo in uscita dalla panchina. Ruolo solo nominale per lui, perché di fatto, causa anche i numerosi infortuni dei Clippers, è un titolare a tutti gli effetti, è sempre in campo nei finali di partita e spesso i tiri decisivi spettano a lui, visto che sta tirando con oltre il 45% dal campo e con quasi il 42% da tre punti. Spinto probabilmente da queste maggiori responsabilità sta anche cercando di avere un gioco più equilibrato e meno da solista, senza però perdere quella vena di “follia” che lo ha sempre contraddistinto e che per lui si sta dimostrando l’arma in più in questa pazza rincorsa ai playoff per dei Clippers veramente a corto di uomini, che però hanno trovato in Williams IL sesto uomo. (Per l’articolo sulle caratteristiche del sesto uomo moderno clicca qui)
DPOY: Kevin Durant
Solitamente il nome di Durant è associato al premio più ambito della regular season, cioè quello di MVP e anche quest’anno, come sempre, va citato nella conversazione riguardante il miglior giocatore dell’anno, ma nonostante tutte le sue qualità offensive quest’anno sta spiccando anche come singolo nel sistema difensivo dei Warriors. KD è terzo in NBA per stoppate a partita ed è l’unico esterno nelle prime 20 posizioni di questa classifica (Antetokounmpo è 18esimo ma sta giocando stabilmente da ala grande). La sua velocità gli permette di stare con gli esterni e la sua altezza e le sue leve fanno di lui un’arma importante sui lunghi e su ogni cambio difensivo e, per un sistema come quello di Golden State che predilige il contropiede sopra ad ogni cosa, è l’arma difensiva fondamentale attorno alla quale Kerr sta modellando sempre di più la sua difesa. Per vincere il premio dovrà vedersela con il suo compagno Draymond Green, insignito di questo titolo al termine della passata stagione e leader emotivo dei Warriors, ma Durant ha dalla sua le stoppate e le rubate spettacolari che compie ad ogni allacciata di scarpe che potranno metterlo in mostra.
COY: Brad Stevens
Tanti allenatori stanno facendo bene in questo inizio di stagione: da McMillan che sta portando dei Pacers in ricostruzione ad un’annata da Playoff, a Spoelstra che sta continuando ciò che di buono si è visto a Miami nella seconda parte della scorsa stagione, passando per D’Antoni che sta riuscendo a far convivere straordinariamente Paul e Harden, ma colui che ha svolto un lavoro incredibile, soprattutto sulla testa di un gruppo giovane come quello che ha a disposizione è senza dubbio l’allenatore dei Celtics, Brad Stevens. Coach Stevens si è ritrovato, nonostante il miglior record a est nella scorsa regular season, un roster rivoluzionato dallo scambio che ha portato Irving in Massachussets, con Thomas e Crowder che hanno fatto il percorso inverso approdando a Cleveland, da quello che ha spedito Bradley ai Pistons in cambio di Morris e dall’arrivo di Hayward che sarebbe dovuto essere la seconda opzione offensiva. Un training camp improntato quindi sul creare l’amalgama di gioco tra questi volti nuovi in vista della stagione, ma dopo 5 minuti della prima partita, la caviglia del suo ex pupillo ai tempi di Butler fa crac, con conseguente stagione finita. I Celtics sembrano quindi una squadra in totale ricostruzione ma Stevens, grazie al talento di Irving, al gioco a tutto tondo di Horford e all’esplosione due giovanissimi come Brown e Taytum è riuscito a doversi preoccupare “poco” dell’attacco per dare ai suoi Celtics il miglior sistema difensivo dell’intera lega (99.6 di Net Rating, il migliore della NBA). Grazie poi al suo playbook infinito i suoi ragazzi trovano quasi sempre la soluzione giusta anche nell’altra metà campo nonostante la poca esperienza e puntano decisi verso un altra regular season da concludere da primi ad Est, sperando poi di esserne i leader anche a maggio, quando ci saranno le finali di Conference.
Marco Azolini