Il calendario indica che restano solo 13 partite da giocare, dopodiché anche questa stagione di Serie A sarà giunta al capolinea. Ogni squadra ha finalmente raggiunto una propria fisionomia di gioco e non rimane altro da fare che dare il 100% per concludere al meglio la stagione. I tempi sono oramai maturi per dare un giudizio ad alcune fra le più importanti squadre del nostro campionato.
Inter
Partita sicuramente come una delle non favorite alla vittoria dello Scudetto, la squadra milanese ha, nella prima parte della stagione, sorpreso quasi tutti gli addetti ai lavori e non, collezionando punti come se fossero francobolli. Fino a dicembre, i nerazzurri si sono contesi il primato della classifica con Napoli e Juventus, arrivando al derby d’Italia da imbattuti e con soli tre pareggi sulle spalle. Dopodiché qualcosa si è spezzato; dopo quel roboante 5-0 realizzato in casa contro il Chievo, l’Inter non ha quasi più trovato la vittoria. I nerazzurri, nei successivi 12 incontri, hanno trovato i 3 punti solo nel match col Bologna, collezionando, per il resto, sei pareggi, quattro sconfitte e la vittoria in Coppa Italia contro il Pordenone, arrivata solo ai calci di rigore, dopo lo sconfortante 0-0 dilungatosi fino ai tempi supplementari.
Ad onor del vero, la compagine di Spalletti non ha mai espresso un gioco brillante, ma una solida difesa, guidata dal neo-acquisto Skriniar, ha tenuto a galla i nerazzurri per i primi mesi. Probabilmente l’undici guidato dal tecnico toscano sta soffrendo, alla lunga, il calo fisico dei suoi uomini-chiave. Eccezion fatta per il portiere Handanovic, per ovvie ragioni di ruolo, gli altri due protagonisti della stagione, Perisic e Icardi sono diventati, partita dopo partita, ombre di sé stessi. In particolare, la situazione del bomber argentino è emblematica del momento di appannamento di tutta la squadra. Complice qualche turn-over e l’infortunio che l’ha tenuto fuori dal campo nelle ultime due partite, nei 12 incontri presi sopra in considerazione Icardi ha segnato solo 2 dei 7 gol totali realizzati dalla squadra, che nel frattempo ne ha subiti in media 1 preciso a partita. Diciotto sono, invece, le finalizzazioni totali dell’argentino, a dimostrazione di un evidente calo di prestazioni. Spesso l’Inter basa la propria tattica sulla verticalizzazione a favore della punta centrale, ma evidentemente questa strategia non funziona nel lungo periodo, perché gli avversari ne prendono inevitabilmente le misure. A ciò si aggiunga, forse, l’infelice scelta di modulo. Il tecnico toscano schiera un 4-2-3-1 privo di un vero e proprio fantasista che agisca sulla trequarti campo, adattando lo spagnolo Borja Valero, che probabilmente si trova più a suo agio agendo a centrocampo. L’assenza di inserimento da parte dei centrocampisti, cui si è parzialmente rimediato con l’acquisto di Rafinha, è, probabilmente, la chiave di volta della crisi dei nerazzurri. Dal vertice della classifica, l’Inter è dapprima scivolata fra le altre posizioni valide per la Champions League e ora vanta solo la quinta posizione, fuori dall’Europa che conta.
Milan
Dall’altra parte di Milano si respira un’aria completamente diversa. Il cammino percorso finora dal Diavolo ha seguito la strada opposta a quella dei cugini. Dopo una faraonica campagna acquisti estiva, i rossoneri sono partiti bene in campionato, salvo poi subire una brusca battuta d’arresto, schiantandosi contro il muro innalzato dalla Lazio nel 4-1 dell’Olimpico di metà settembre. Quel tondo risultato è esemplare della fatica che trova il Milan nell’affrontare gli scontri diretti, in cui non è riuscito a portare a casa una sola vittoria sotto la precedente guida di Montella. Dopo il suo esonero, Rino Gattuso inizia la sua avventura sulla panchina della sua ex squadra, ma lo fa in maniera grottesca e indimenticabile. Nell’ultima azione del Vigorito, il Milan subisce il pareggio di Brignoli, portiere del Benevento, sino a quel momento senza alcun punto in classifica. Alle sue prime battute, la squadra, sotto la nuova guida tecnica, si dimostra altalenante nei risultati. Fino a quel fatidico derby di fine anno, deciso da Patrick Cutrone nei tempi supplementari. Se guardiamo un po’ di statistiche, constatiamo che nelle ultime 11 partite, compresa la stracittadina di Coppa Italia, sono otto le vittorie dei rossoneri, tre i pareggi e zero le sconfitte. In totale, sotto la nuova guida tecnica, sono 17 le partite disputate, con dieci vittorie, quattro pareggi e tre sconfitte, a dimostrazione di come qualcosa sia cambiato nella mentalità dei giocatori milanisti. Proprio il bomber del derby è simbolo di questo ritrovamento. Partito quasi sempre dalla panchina nei primi mesi di campionato ha, dopo poche settimane, incontrato la fiducia del nuovo allenatore e, soprattutto, molti più minuti e reti nel tabellino personale.
Uno dei meriti da riconoscere a Ringhio è, quindi, quello di aver saputo lavorare bene sulla testa dei propri calciatori. Oltre a Cutrone, sono tanti i giocatori che hanno ritrovato se stessi dopo il cambio di panchina, a cominciare da uomini fondamentali per le trame di gioco come Biglia, fino a quel momento brutta copia di quello visto in questi anni alla Lazio. Non sono un caso le recenti parole di stima espresse da un giocatore come Bonucci, che di esperienza in materia di allenatori vincenti ne ha eccome. Ma soprattutto, è la maggiore stabilità di modulo a rendere più facile la vita dei milanisti. Se Montella schierava una squadra e un modulo diversi ogni giornata, il campione del mondo 2006 ha trovato la fonte dei propri risultati nel 4-3-3.
Napoli
Diverso il discorso per quanto riguarda il Napoli. A differenza delle due milanesi, i partenopei possono vantare già un anno di pregressa esperienza sotto la sapiente guida di Maurizio Sarri, e questo sicuramente giova ai risultati. Ma non solo, perché l’undici titolare schierato settimanalmente dal tecnico toscano è praticamente lo stesso della scorsa annata. Si recita, infatti, a memoria ormai la formazione titolare della squadra, eccezion fatta per lo sfortunato Ghoulam, sostituito da Mario Rui. Così come a memoria giocano coloro che scendono in campo. Non si può negare che, per quanto forse eccessivamente enfatizzata da molti giornalisti, la squadra di Sarri esprime un gioco spumeggiante che, se non il migliore in Europa, è sicuramente il migliore in Italia. Tanti tocchi di prima, passaggi filtranti ed azioni uguali a se stesse ma pur sempre efficaci. Si veda, su tutte, quella Insigne-Callejon, che tanto ricorda l’apertura Pirlo-Lichtsteiner della Juve di Conte. Il segreto del Napoli è, quindi, la continuità di gioco e formazione. Non per nulla, non è stata sentita l’esigenza di intervenire sul mercato, tanto quello estivo quanto quello invernale. Ma questa ripetitività può rappresentare un’arma a doppio taglio. Perché, se da un lato, come già detto, fraseggiare a memoria fra i giocatori aiuta tutti gli interpreti in campo a trovarsi e a punire l’avversario, dall’altro la stanchezza potrebbe farla da padrona nel lungo periodo. E forse ha già cominciato a farsi sentire, perché le eliminazioni da Coppa Italia ed Europa League denunciano un’incapacità della squadra di riuscire a portare avanti tre competizioni contemporaneamente. Non è questione di panchina corta, perché i cambi ci sarebbero (vedi ad esempio Tonelli, quasi mai sceso in campo, o la ricorrente sostituzione di Hamsik con Zielinski), si tratta di una precisa scelta. Non resta che aspettare maggio per vedere se quest’opzione sarà risultata vincente.
Maurizio Sarri con la sua immancabile sigaretta