Una strage dimenticata: 30 anni fa, in via Calata San Marco, a Napoli, persero la vita 5 persone in seguito ad un attentato. L’assassino, Junzo Okudaira, condannato all’ergastolo, non scontò neppure un giorno di carcere. Un fallimento della giustizia.
Sono passati 30 anni dalla strage di via Calata San marco, una stradina adiacente a piazza Municipio a Napoli, dove vennero uccise 5 persone e ferite una ventina.
Ma cosa è successo quel 14 aprile di 30 anni fa?
Pochi minuti prima delle 20, una Ford Fiesta imbottita di tritolo esplose. Uno scenario da brividi… Automobili in fiamme, una colonna di fuoco che arrivava ai piani alti, vetri infranti, portoni divelti, brandelli di carne, le urla dei feriti, dolore e sangue.
L’obiettivo dell’attentato era un circolo statunitense, “Uso”, dove era in programma una festa in onore del comandante di un cacciatorpediniere statunitense da poco approdato a Napoli, Paul, attraccato il giorno prima al Molo Angioino.
I terroristi, secondo una rivendicazione della Jihad islamica, volevano colpire l’America nella ricorrenza del raid aereo su Tripoli deciso come rappresaglia all’attentato a una discoteca di Berlino frequentata da militari Usa.
Le conseguenze furono tragiche: in quella stradina lasciarono la vita una portoricana sottufficiale della marina americana, tre passanti e un venditore ambulante, Antonio Gaezza, che vendeva collanine di vetro in bella mostra su una bancarella.
Il colpevole della strage fu Junzo Okudaira, lo stesso uomo che il 29 maggio 1972 era stato tra i protagonisti della strage all’aeroporto di Tel Aviv, causando la modica cifra di 26 morti. Fu catturato grazie all’impronta digitale su una ricevuta rilasciata dall’agenzia dove aveva preso a noleggio la Ford Fiesta utilizzata per l’attentato. Il riconoscimento da parte di diversi testimoni che individuarnono, grazie alla foto segnaletica, in lui l’uomo notato più volte mentre si aggirava nella zona, escluse ogni dubbio sul suo coinvolgimento
Okudaira non è stato mai catturato, al contrario della cognata, Fusako Shigenobu, arrestata 18 anni fa in Giappone. La donna fu processata e assolta per insufficienza di prove al processo per l’attentato.
Oggi, sono pochi a ricordare quell’attentato, cancellato dalla memoria collettiva della città e della nazione. Al silenzio della società e delle istituzioni (all’epoca neppure il Comune si costituì parte civile) si aggiunge il sostanziale fallimento della giustizia.
Martina Onorati