“Brucio nella benzina che uccide il nostro pianeta” così ha lasciato scritto nel suo messaggio d’addio

David Buckel era il suo nome, aveva 60 anni e ieri ha deciso di togliersi la vita, sacrificandosi, per mandare un segnale forte ad una società che a suo dire è totalmente disinteressata alla questione climatica.

Era un avvocato per diritti della lega LGBT,diventato famoso per avere guidato, dalla parte dei parenti di un giovane trans stuprato e ucciso in Nebraska, il processo portato da Hollywood sul grande schermo nel film “Boys Don’t Cry”. Proprio questa mattina a New York, nel Prospect Park semi deserto, si è cosparso gli abiti di benzina e si è dato fuoco. Il jogger, avvistandolo, ha allertato la polizia che poi ha trovato il suo cadavere carbonizzato.

Buckel ha lasciato i documenti e un biglietto in un carrello della spesa lì vicino e inoltrato a tutti i maggiori media americani, in cui c’era l’invito a non vivere più in modo così egoistico per proteggere lo stato del pianeta. 

Il caso legale per cui Buckel divenne famoso lo aveva visto difendere gli eredi del ragazzo trans Brandon Teena contro uno sceriffo della contea che non aveva fatto abbastanza per difenderlo. Hilary Swank interpretò il ruolo di Brandon nel film del 1999 vincendo un Oscar. Come direttore del progetto matrimoni e consigliere legale dell’associazione pro-gay Lambda Legal, Bucker era stato protagonista  di importanti casi giudiziari a New York e New Jersey che avevano accompagnato il processo di legalizzazione delle nozze tra coppie omosessuali. Più di recente l’avvocato aveva dedicato le sue energie ai problemi dell’ambiente: aveva lavorato come giardiniere urbano e ecologo al giardino botanico di Brooklyn, contribuendo a creare il più grande programma di riciclaggio dell’ ‘umido’ in America che usa soltanto energie rinnovabili.

“L’inquinamento distrugge il nostro pianeta. La maggior parte degli abitanti della terra respira aria resa insalubre dai combustibili fossili e molti muoiono prematuramente per questa ragione”, ha scritto nell’ultimo messaggio: “Che la mia morte prematura rispecchi quel che stiamo facendo a noi stessi”.

di Claudia Colabono