A Star is Born è contemporaneamente un omaggio alla vecchia Hollywood e un tentativo di rinnovare racconti tradizionali per un pubblico nuovo. Non osa nei contenuti, ma in quanto opera prima è decisamente monumentale. Il film segna infatti l’esordio alla regia di Bradley Cooper, che sceglie di essere presente anche in scena, nel ruolo del protagonista maschile. Una mole di lavoro intensa e raddoppiata, che lascia comunque il giusto spazio alla sorprendente Lady Gaga.
Commovente per definizione, il melodramma in “A Star is Born”
L’idea alla base di A Star is Born è quella di un amore tormentato, di emozioni contrastanti e potenti che danno origine al melodramma dei protagonisti. Effettivamente la versione originale del 1937 era un melodramma canonico dell’industria hollywoodiana. Il film del 2018, tuttavia, insiste soprattutto sul posizionamento, sull’intensità e sulla particolarità tecnica della colonna sonora.
Le emozioni derivano tutte, e senza via di scampo, dalle performance musicali, in un crescendo che volutamente provoca la commozione finale. È un’esperienza sensoriale progettata e costruita ad hoc, ma non per questo meno piacevole per lo spettatore. Anzi, la registrazione dal vivo di tutte le esibizioni di Lady Gaga lo rende anche un film-concerto, spettacolare e imperdibile.
Versioni e trasformazioni nel tempo
Come accennato, A Star is Born nasce come un melodramma, realizzato da William A. Wellman nel 1937. Janet Gaynor, già premio Oscar per Aurora di Murnau, interpretava Esther, una giovane ragazza di provincia con il sogno di diventare attrice. Non vi era dunque alcun riferimento al mondo della musica, ma era appunto una metanarrazione dell’universo hollywoodiano. I tratti principali della trama, però, sono ovviamente rimasti immutati nel tempo.
Si tratta di un intreccio tra amore e successo, rancori e invidia. È un equilibrio apparentemente impossibile tra l’ascesa di una donna e il declino, psicologico e sociale, dell’uomo al suo fianco. Più che una storia d’amore, quindi, si potrebbe definire la storia di un amore, dai teneri inizi al tragico epilogo.
La componente musicale si aggiunge nel 1954 quando per il suo remake George Cukor sceglie Judy Garland come protagonista. L’idea è esattamente quella di rivisitare la storia attraverso la forma del musical hollywoodiano anni Cinquanta. È di nuovo, comunque, una storia legata strettamente al mondo del cinema. Il vero mutamento si ha nel 1976 con la versione di Frank Pierson e il ruolo di Esther affidato a Barbra Streisand.
È in questo caso, infatti, che la coppia protagonista diventa una coppia di cantautori e non più di attori. Tanto che il film di Bradley Cooper si può definire un remake del remake, cioè propriamente della versione anni Settanta.
La versione Cooper-Gaga
A Star is Born di Bradley Cooper non avrebbe avuto senso né forma, forse, senza Lady Gaga. A ben vedere, entrambe le attrici dei precedenti remake erano infatti già dei simboli dell’intrattenimento delle rispettive epoche. Cooper aveva ugualmente bisogno di un simbolo, oltre che di una voce inconfondibile, e non ha sbagliato a scegliere la camaleontica Lady Gaga nel ruolo di Ally (e non più Esther).
Spogliandosi del solito trucco e dei suoi travestimenti bizzarri, è stata capace di offrire al pubblico un’interpretazione sincera e toccante, non ancora contaminata da sovrastrutture recitative. Al di là di alcuni piccoli ruoli in serie tv, infatti, questo film segna anche il debutto sul grande schermo della cantante. Pur non dimostrando una vera e propria poetica autoriale Bradley Cooper riesce a vincere la sfida della regia, innanzitutto dirigendo al meglio la sua protagonista.
Realizza nel complesso un film che, con semplicità e piccoli accorgimenti, avvicina il pubblico contemporaneo a una storia di inizio secolo. Mutano i rapporti tra maschile e femminile, mutano le interazioni tra moglie e marito, ma il senso della storia rimane illeso. A Star is Born riesce ancora a rinascere, una quarta volta, tenendo conto della sensibilità e delle aspettative di un mondo, nel frattempo, profondamente diverso.
Articolo di Valeria Verbaro
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