Tutte le conquiste fatte dalle donne per ottenere e acquisire dei diritti sono, come dire, delle conquiste a metà. Dei ‘contentini’, se così vogliamo chiamarli. Ancora una volta si lotta per una guerra politica che vede compatti due plotoni schierati ai poli di un campo di battaglia, quel terreno è, di nuovo, il corpo femminile. Il corpo della donna, più e più volte messo sotto l’osservazione dei più, in linea di massima, giustizialisti col mignolo di ferro. Ancora una volta, la questione aborto al centro di polemiche.
Dopo la decisione di non abbassare l’IVA (dal 22% al 4%) sugli assorbenti – o meglio: di abbassarla solo su assorbenti biodegradabili (caratteristica che interessa solo il 10% degli assorbenti messi in commercio. Vittoria che assomiglia più ad una sconfitta e a una grandissima presa in giro)- arriva il pugno nello stomaco, direttamente dal centro Italia.
La governatrice dell’Umbria, Donatella Tesei, decide di cancellare la possibilità del ricovero ‘day hospital’ (autorizzato nel 2018) per tutte quelle donne che decidono di praticare un’interruzione volontaria di gravidanza farmacologica (con la RU486), restituendo l’obbligo del ricovero ospedaliero di tre giorni (come emesso dal Consiglio Superiore di Sanità del 18 marzo 2010 e notificato dal Ministro della Salute agli Assessorati alla Sanità).
Che cos’è il day hospital?
Secondo quanto riportato dal sito del Ministero della Salute, “Il day hospital (DH) o ricovero diurno è una forma di assistenza, garantita dal Servizio sanitario nazionale, che permette al paziente di usufruire di cure ospedaliere nell’arco di uno o più ricoveri programmati (tutti di durata inferiore a un giorno e senza pernottamento) per lo svolgimento di accertamenti diagnostici, visite specialistiche e terapie. La permanenza in ospedale è limitata al tempo strettamente necessario e, completate le cure, il paziente torna al proprio domicilio avendo la possibilità di continuare, per quanto possibile, le attività quotidiane”. Questo significa che la paziente può ricevere assistenza sanitaria con terapia ‘semi-domiciliare’. Le parole della Tesei, atte ad appellarsi alla tutela della salute femminile, non contemplano una compagine di studi fondamentale: chi è il destinatario di tali cure?
Di nuovo, per seguire la bandiera della miope garanzia di ‘tutela sanitaria’ ci si dimentica, lungo il percorso, la garanzia di ‘tutela del libero arbitrio’. Bisogna fare una premessa statistica socio-culturale prima di poter attuare una qualsivoglia scelta sanitaria che possa danneggiare persone reali.
L’aborto e il ricovero in ospedale, alcune riflessioni
Secondo i dati ISTAT il numero più alto delle interruzioni volontarie di gravidanza interessa la fascia d’età compresa tra i 20 e i 24 anni, con stato civile nubile. Ammesso e non concesso che le donne comprese in questa fascia d’età siano delle lavoratrici, come ci si comporta di fronte l’assenza prolungata da postazioni di lavoro? Considerando che- ed è così- l’aborto è una pratica ancora non ‘socialmente accettata’. Quello che voglio dire è: come ci si può appellare al diritto di ‘tutela sanitaria’ quando, per una giovane donna, è già difficile anche il solo parlarne in una comunità?
La permanenza obbligatoria prolungata costringe la donna a mettere le carte in tavola. Il mio pensiero va alle fasce ‘deboli’ e cioè a quelle donne, il cui mobbing psicologico tradizionale, fa credere l’aborto una pratica contro natura. In un contesto socio-culturale come quello italiano (se vogliamo scavare ancora più a fondo, ad esempio, in Sicilia la RU486 non è ancora arrivata), come vengono tutelate le donne che decidono di abortire, ma hanno paura di ricevere ripercussioni ‘sociali’? Onestamente: non è una novità che l’aborto venga praticato, in 90% dei casi, in segreto. Di fronte a questi dati e a queste considerazioni socio-culturali, come si pronuncia l’Umbria (ma anche tutta l’Italia)?
Il fine è chiaro: quando si desidera vietare una condotta – in questo caso si parla di vietare l’Aborto compiendo perciò un’azione liberticida – ma non si può compierne il gesto, si cambia tattica. Non potendo vietare la condotta (la pratica abortiva) si cerca quindi di renderla il più possibile difficile, ferraginosa, impossibile da compiere allo scopo di scoraggiarne la prassi. Questo è il caso della situazione attuale in Umbria sulla distribuzione della RU486. Non c’è alcun interesse nella tutela della donna, che anzi è costretta a vivere un ricovero effettivo con tutte le eventuali conseguenze.