Ad un anno dal sisma rimangono ancora le macerie. Il rapporto di Legambiente

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Di Redazione Metropolitan

Milioni di tonnellate di macerie rimangono ancora nelle zone colpite dal terremoto. Rimosso solo il 9%, e la ricostruzione stenta a partire.

Sono oltre 2.400.000 le tonnellate di macerie che aspettano ancora di essere rimosse dalle zone del Centro Italia colpito dal sisma lo scorso anno. Finora ne sono state rimosse a malapena 227.500 tonnellate, meno del 9% (l’8,57% per la precisione). La denuncia viene da Legambiente, che chiede un radicale cambio di passo nella gestione del post terremoto.

Le macerie derivano per la stragrande maggioranza dalla demolizione degli edifici pericolanti o parzialmente crollati, e senza rimuoverle non si può avviare la ricostruzione e la contestuale rinascita delle comunità devastate dal sisma. Sono oltre 60 i comuni dove ancora non è partita la rimozione delle macerie, senza contare le numerose frazioni. La data del 31 dicembre 2018, scadenza per la rimozione totale, rischia di non poter essere rispettata.

«C’è invece la necessità di fare molto prima di quella data – dichiara la presidente di Legambiente Rossella Muroni -. È opportuno che il governo ripensi il ruolo della struttura del commissario straordinario per dargli più poteri e le risorse necessarie per un reale coordinamento. Le differenze nella gestione delle macerie nelle quattro Regioni sono troppe; già chiedevamo un coordinamento più forte ed efficace e il rischio ora è che diventi più debole, visto l’annuncio delle dimissioni di Errani. Siamo consapevoli delle numerose difficoltà incontrate – le ripetute e importanti scosse sismiche, la vastità dell’area interessata, le strade inagibili e insicure per via delle case pericolanti, le demolizioni necessarie per operare in sicurezza – a cui si sono però sommati ritardi per i provvedimenti modificati in itinere, negli affidamenti dei lavori, nel coordinamento tra i diversi livelli istituzionali. Ma la rinascita dell’appennino ha bisogno, ora, di una visione unitaria». 

Vi è da aggiungere poi che la situazione varia anche da regione a regione. Marche e Lazio sono le due con la maggior quantità di macerie (rispettivamente 1.120.000 e 1.280.000 tonnellate), mentre Abruzzo e Umbria ne contano 150.000 e 100.000. Nelle Marche, dove è più vasta l’area interessata, sono ancora 52 su 87 i comuni invasi dalle macerie, mentre 9 sono inaccessibili a causa delle vie di comunicazione bloccate.

Legambiente lancia così una proposta in cinque punti, elencati di seguito, direttamente dal proprio sito:

Accelerare le demolizioni

I Comuni non possono essere lasciati soli nella gestione delle attività di demolizione. L’impegno preso dal Commissario straordinario di coinvolgere il Genio Civile nelle demolizioni probabilmente non basterà, si aiutino i Comuni a mettersi insieme per affidare i lavori a scala intercomunale riducendo la quantità di gare e di iter procedurali.

Intervenire a sostegno della raccolta dei beni di interesse culturale

C’è necessità di potenziare la presenza dei funzionari del Mibact per il monitoraggio, il controllo e la messa in sicurezza delle macerie di interesse storico-architettonico, e di saper utilizzare più e meglio i volontari dei Gruppi di Protezione Civile Beni Culturali, finora incomprensibilmente sottoutilizzati. Inoltre, è fondamentale avviare un piano di gestione dei depositi temporanei delle opere recuperate per iniziare un percorso di restauro, valorizzazione e fruizione dei beni culturali.

Riorganizzare la logistica: siti temporanei e trasporto

Oltre il 98% delle macerie sono costituiti da inerti, rifiuti non pericolosi che se trattati, predisponendo laboratori anche mobili nelle aree limitrofe a quelle di produzione, costituirebbero materia da utilizzare per la ricostruzione delle stesse aree. Una demolizione di qualità degli inerti, come prevista dalle Linee Guida europee per la gestione dei rifiuti da Costruzione e Demolizione, potrebbe evitare il passaggio dal sito di deposito temporaneo.

Programmare il riutilizzo delle macerie per la ricostruzione

Se si sommano alle macerie attuali quelle molto più numerose e non ancora stimate che deriveranno dalla ricostruzione e demolizione a carico dei privati, ci troveremo di fronte a una quantità enorme di materiali con il rischio che anche gli inerti diventino rifiuti da smaltire spostando il problema più a valle. Il loro riutilizzo è richiamato dalle norme nazionali e dai piani regionali ma di fatto nessuna delle quattro Regioni si è ancora dotata di una programmazione che specifichi la filiera del recupero, le caratteristiche tecniche per garantire la qualità dei materiali da riutilizzare, le modifiche ai capitolati necessarie per prevedere il loro utilizzo, norme premianti affinché tali materiali trovino effettivo mercato. I ministeri competenti (Infrastrutture e Ambiente) insieme al Commissario straordinario aiutino le Regioni a programmare e governare una nuova filiera del riciclo, fornendo indicazioni più precise sul riutilizzo dei materiali.

Trasparenza e accessibilità delle informazioni

Nessuna Regione finora ha approntato un sistema che permetta di rendere accessibile e costante l’informazione sulla raccolta delle macerie; i dati sono recuperabili solo grazie alla disponibilità dei dirigenti preposti. Si realizzi subito un sistema di monitoraggio e tracciabilità delle macerie pubbliche e private, in forme facilmente fruibili.

Legambiente denuncia la mancanza di procedure armonizzate tra le varie regioni, e rilancia la proposta di maggiori poteri alla figura del Commissario, in modo da accelerare le pratiche. Anche se, il passato ci insegna come la gestione concentrata delle emergenze abbia prodotto danni mostruosi e sprechi incalcolabili (la cricca delle Grandi Opere, L’Aquila, Cerzeto), per cui è auspicabile che ogni eventuale aumento di potere debba andare di pari passo con un aumento del controllo da parte del Governo. 

Lorenzo Spizzirri