Nello spazio di LetteralMente Donna una donna eccezionale che ha dato un enorme contributo al mondo dell’informatica con le sue idee visionarie. Il suo nome è Ada Lovelace e questa è la sua storia
Ada Lovelace, tra immaginazione e matematica
“La facoltà combinatoria che individua punti in comune tra soggetti che apparentemente non sono collegati”. Così, come riportato da Wired, Ada Lovelace definì nel 1841 l’immaginazione aggiungendo che essa “è soprattutto la facoltà della scoperta, è ciò che penetra i mondi ignoti attorno a noi, i mondi della Scienza”. È lo spirito questo che l’ha animata sin da piccola quando iniziò gli studi di matematica fortemente voluti dalla madre che temeva troppo la fervida immaginazione della piccola. Questa essendo lei una Byron avrebbe potuto, a dire della madre, gravemente nuocerle. Ada Lovelace infatti era la figlia del celebre Lord Byron che però la abbandonò insieme la madre quando lei aveva circa un mese non vedendola mai più.
C’è da dire che il connubio immaginazione e matematica fu fondamentale per accrescere le potenzialità di quella che era definita una bambina prodigio. Ada Lovelace, spiega Valerie Aurora, cofondatrice della Ada Initiative, associazione che si occupava di incoraggiare le donne allo studio delle materie tecnico-scientifiche, è infatti “un esempio inusuale per le donne del suo tempo, perché non solo le venne permesso di imparare la matematica, ma addirittura fu incoraggiata a farlo”. E questo nonostante una salute cagionevole. In fatti a sette anni rimase a lette per diversi mesi a causa di una grave malattia mentre a quattordici anni ebbe una temporanea paralisi alle gambe a causa di un grave morbillo.
L’incontro con Charles Babbage
“Dimentica questo mondo e tutti i suoi guai e, se è possibile, con tutti i suoi numerosissimi ciarlatani, ogni cosa insomma, tranne l’Incantatrice dei Numeri.”. Cosi Charles Babbage scriveva ad Ada Lovelace. Definì incantatrice di numeri quella donna a sua volta rimasta profondamente colpita dalle sue invenzioni. Babbage infatti conobbe la Lovelace quando lei aveva soli 17 anni e lui le parlò della sua macchina differenziale che permetteva di eseguire calcoli matematici facendo girare dei rulli numerati con un’apposita manovella. Quello che però la Lovelace vide con la madre a casa di Babbage era solo un prototipo ma ciò nonostante nacque tra i due una fruttuosa collaborazione e amicizia.
La svolta arriva nel 1842
Babbage aveva progettato anche una macchina analitica in grado di eseguire calcoli mediante programmi di tabulazione o computazione. Si tratta di quello che, anche se non fu mai costruito, fu definito il primo computer della storia. Nel 1840 Babbage, alla ricerca di fondi per la sua invenzione, incontrò in Italia il matematico Luigi Federico Menabrea che scrisse una relazione sul suo macchinario intitolata “Nozioni sulla macchina analitica del signor Carlo Babbage”.
Gli scritti di Menabrea saranno pubblicati da un’accademia svizzera in italiano e francese nel 1842. Nello stesso anno Ada Lovelace venne incaricata di fare una traduzione in inglese della relazione di Menabrea ma fece molto di più
La nota G, il primo algoritmo e la concezione dell’informatica
La Lovelace, infatti, aggiunse al testo di Menabrea diverse note scritte di suo pugno spiegando dettagliatamente il funzionamento della macchina analitica di Babbage ispirandosi al concetto delle schede traforate del telaio di Jacquard che permettevano a questo telaio meccanico di disegnare automaticamente diversi motivi cosi come l’invenzione di Babbage poteva fare con i calcoli. Inoltre nella celeberrima nota G la Lovelace espose efficacemente quello che può essere definito il primo concetto di algoritmo informatico e di software per eseguire il calcolo dei numeri di Bernouilli.
La vera svolta della Lovelace fu però, afferma la studiosa Suw Charman-Anderson, quella “di riconoscere che qualsiasi macchina in grado di manipolare i numeri poteva anche manipolare i simboli”. Infine Ada Lovelace iniziò a parlare dell‘informatica come una scienza separata dalla matematica scrivendo che “La scienza delle operazioni, soprattutto quelle derivata dalla matematica, è una scienza di per sé e possiede una sua astratta verità e valore”.
Stefano Delle Cave
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