Adolphe Appia: la melodia del crono-spazio

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Di Redazione Metropolitan

Giunge al secondo appuntamento la rubrica teatrale “Metro teatro” volta ad approfondire temi e personaggi relativi al sistema teatrale nella sua dimensione globale. Il primo ciclo da noi trattato sarà specificamente rivolto ad una retrospettiva sui padri fondatori della regia teatrale all’inizio del Novecento. Tra di loro spicca la figura di Adolphe Appia.

Nulla di superfluo, nulla d’intralciante.

La luce si plastifica, nasconde, rivela per poi insinuarsi esausta nello spiraglio della tridimensione.

L’occhio si estende, assorbe la spazialità radicale, l’inclinazione del piano, la gigantografia dei pilastri stagliati.

Il corpo risponde all’unisono, s’impregna dell’euritmia primordiale, dell’ancestrale sonoro attuandone la vorace fusione.

Adolphe Appia: la sua nudità è spiazzante.

La scena essenziale.

http://www.sikart.ch/kuenstlerinnen.aspx?id=4000014&lng=it (PHOTO CREDITS: ANSA.IT)

La scena scaligera si libera d’ogni futile orpello, si ricongiunge vittoriosa all’essenzialità radicale, accede all’universalità della forma.

Il XX secolo emette i suoi primi vagiti; qualcosa sta mutando.

Una vischiosa fanghiglia di quesiti si riversa nella mente del giovane autore svizzero intento a plasmare la forma rappresentativa che meglio s’amalgami al dramma interiore.

Parola, musica, azione.

Preludio del ribaltamento è per lui il Wort-ton- drama wagneriano, la scena illusione, l’azione mitica della storia.

In seguito alla pubblicazione de “La mìse en scene du Drama Wagnerian” (Parigi, 1895), getta le basi di una personale elaborazione scenica attraverso un’opera di lunga gestazione: “La musica e la messinscena” (1892-1897).

http://studio-com.kr/adolphe-appia-restoration (PHOTO CREDITS:ANSA.IT)

Un sussulto si libra nel cronospazio. Un ammutinamento.

Condannato ogni strascico di pittoresco, il pioniere ginevrino si accinge a creare nuovi spazi entro cui far convergere l’espressone, risvegliare volumi animati, ridestare il vivente.

Il corpo è nuovo elemento, nucleo centripeto.

Ad esso si piega ogni scansione, ogni volume; ad esso si fonde il magma melodico, il lapillo tonale.

Nascenti visioni, scalinate spezzate, ampiezze scabre, lancinanti.

L’io spettatore si scopre intruso, testimone precipita nella landa spaziale che rigetta la μίμησις e vive l’azione.

Anche il regista avverte il suo limite, s’inchina alla musica, si disseta alla fonte ancestrale che dal suono riverbera.

http://studio-com.kr/adolphe-appia-restoration (PHOTO CREDITS:ANSA.IT)

L’avvento del tridimensionale echeggia arbitrario; ne intuiamo il segnale dalla serie di disegni “Spazi ritmici” del 1909 laddove la spazialità praticabile si libera da ogni riferimento al testo drammatico d’origine.

L’orizzontale e il verticale. L’appoggio e l’ostacolo.

Non c’è rappresentazione nella loro diatriba. La figurazione si riduce.

In un teatro come quello svizzero, da sempre privato d’una dimensione nazionale, una ierofania.

L’apporto di Appia distilla l’essenziale nella molteplicità della trasparenza.

Giorgia Leuratti