L “effetto talebani” è appena agli inizi. “Con gli ultimi voli atterrati a Ciampino sono più di 500 gli afghani arrivati nel nostro Paese”, ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio al G7. “Il piano è trasferire circa 2.500 persone”. Ciò a cui stiamo assistendo in queste ore, conseguenza del ponte aereo tra Kabul e Roma organizzato da Difesa e Farnesina per mettere in salvo le famiglie di coloro che hanno collaborato con la missione italiana a Herat, può essere l’incipit di una devastante crisi umanitaria.

Negli ultimi 25 anni, infatti, i grandi esodi del popolo afghano, in corrispondenza delle guerre civili e delle barbarie del regime oscurantista talebano, hanno portato in Europa ondate di 250.000 profughi. Una cifra che è ben presente agli analisti e a cui guardano con timore i governi dell’Unione.

Adesso c’è la corsa, tra i sindaci, a offrire ospitalità. Milano, Roma, Bolzano, Napoli, Ferrara, Bari, Padova, Firenze, Bologna, San Giorgio a Cremano, Mazara del Vallo. Per una volta anche comuni della Lega si stanno offrendo. Appena scendono dai KC767 del Comando operativo di vertice interforze, gli evacuati da Kabul sono portati in una caserma a Roccaraso per i dieci giorni di quarantena. Poi il Viminale li sistemerà nei Cas, i Centri di accoglienza straordinari gestiti dalle prefetture. “I talebani, da quello che ho visto, non sono cambiati”, racconta un ufficiale della polizia afghana. “Uscito dal lavoro li ho visti sulle strade: dal loro atteggiamento ho subito capito che c’era una minaccia imminente alla mia vita e a quella della mia famiglia. Le successive 72 ore sono state un incubo. Il giorno dopo l’entrata dei talebani a Kabul, un gruppo armato si è presentato nel mio quartiere. Mi cercavano, perché lavoravo per il governo, avevano la mia foto in mano. A quel punto ho contattato le autorità italiane a Kabul”.

I sindaci hanno chiesto al ministero dell’Interno di ampliare i posti Sai, i progetti di accoglienza sviluppati dai municipi ma finanziati dallo Stato. Una volta si chiamavano Sprar, garantiscono agli ospiti maggiore integrazione, la disponibilità di assistenti sociali e insegnanti di lingua, un aiuto per trovare la lavoro. “È il luogo migliore dove sistemarli”, sottolinea l’ex viceministro Matteo Mauri. “Sono soprattutto famiglie, con donne e bambini: devo avere strutture adeguate”. C’è una legge, la 141 del 2014, che definisce lo status di chi ha lavorato con la missione Isaf. Possono portare in Italia il coniuge, i figli e i parenti di primo grado, hanno diritto alla protezione internazionale e a stare per trentasei mesi nel sistema per richiedenti asilo e rifugiati