Era il 1996 quando, in nome della Sharia, i talebani imposero un sistema di esclusione e discriminazione nei confronti delle donne. Le donne erano diventate sostanzialmente strumenti a servizio dei propri padri, mariti e fratelli, escluse completamente dalla vita pubblica. Eppure ancora oggi, nel 2022, assistiamo impotenti al ritorno dei talebani a Kabul e alla progressiva negazione dei diritti delle donne.
Un’escalation di privazioni
Una volta preso il potere lo scorso agosto, avevano illusoriamente dichiarato “Tuteleremo i diritti delle donne” facendo intendere che le donne avrebbero indossato solo l’hijab. Eppure, dopo la chiusura delle scuole femminili, il divieto d’accesso per le donne sui posti di lavoro, il divieto di viaggiare da sole, ecco arrivata l’ennesima privazione. Si tratta di un decreto del ministero per la prevenzione del vizio e la promozione della virtù, che ha sancito l’obbligo per le donne afghane di indossare il burqa nei luoghi pubblici. La motivazione? “È tradizionale e rispettoso“, avrebbe affermato Hibatullah Akhundzada, leader dei talebani.
Il burqa, a differenza dell’hijab (il velo islamico che copre solo la testa) annienta completamente l’identità di chi lo indossa. Si tratta infatti dell’abito tradizionale musulmano che copre il corpo per intero, volto compreso, lasciando solo una fessura all’altezza degli occhi. Nascondendo completamente il viso e il corpo senza mostrarne la figura, le donne eviterebbero dunque provocazioni quando incontrano uomini che non sono membri della propria famiglia.
La protesta delle donne afghane
Le donne di Kabul non sono certo rimaste in silenzio. Col volto scoperto e con in mano cartelli di protesta, hanno sfilato per le vie della capitale manifestando il proprio dissenso. “Libertà, lavoro, cibo” lo slogan per esprimere la volontà di affermarsi come esseri viventi e non come prigioniere tenute in casa col solo fine di soddisfare gli uomini. Il corteo è poi stato disperso dai talebani dopo aver sparato sulla folla, fortunatamente senza mietere vittime. La prepotenza dei fondamentalisti islamici ha persino impedito ai giornalisti accorsi sul luogo di fare un resoconto della manifestazione.
Elisa Pagliara