Il golf è uno sport con un unico difetto, la lentezza. Accusa mossagli da chi non ha la pazienza di assaporarlo, ma che in un’altra epoca era un giusto rimprovero. Perché il mondo andava avanti e lui restava immobile: la storia degli afroamericani nello sport del golf.

Gli afroamericani nel golf: le origini

Il golf dagli anni ’20 non è più alla portata esclusiva dei facoltosi uomini bianchi e lo Shady Rest Golf Club nel 1921 lo dimostra, primo esempio di afroamericani che gestiscono un golf club. I golfisti di colore giocano su questo campo solo ciò che gli viene concesso: il “National Colored Golf Championship” e dal 1926 il “Negro National Open Championship”. I premi sono irrisori (25$ al vincitore) ed i campi pubblici formano le tappe dello UGA Circuit, unico circuito aperto agli afroamericani fino agli anni ’60.

Anomalie estirpate

Le eccezioni di solito confermano la regola, ma se lo smacco è grande se ne creano addirittura di nuove. Processo che sfavorisce Dewey Brown: produttore di mazze per il presidente degli Stati Uniti Warren Harding e giocatore autodidatta di ottimo livello. Talmente alto che nel 1928 si iscrive sul PGA Tour, per poi venirne escluso nel 1934. Sei anni in cui nessuno si “accorge” della sua carnagione scura, fatto che, una volta notato, porta alla creazione di una regola particolare: “Le membership per la PGA possono essere rilasciate solo a golfisti professionisti di razza caucasica.”.
Imperativo valido sino agli anni ’60.

afroamericani golf
Dewey Brown
(Credit: Adirodanck Experience)

La Boxe

L’aiuto per il mondo del golf arriva da due guantoni, da un’impresa di boxe, perché nella memoria restano prima le gesta e poi le fattezze di chi le compie. Il pugile di colore Joe Louis sconfigge davanti a 70.000 americani un avversario della Germania nazista nel 1938: un gancio politico e un montante sinistramente profetico.
Louis è un golfista appassionato e crea a sue spese il “Joe Louis Open” con 2000$ di montepremi, un torneo annuale che mette in ridicolo lo UGA Circuit, screditato e criticato dal pugile. Proprio Joe Louis arreca un danno alla PGA, sfruttando il cavillo alla “Regola caucasica” che permette ai golfisti di colore di giocare sul PGA Tour grazie ad un’esenzione di uno sponsor. Louis gareggia come amateur con questa formula dopo un iniziale rifiuto della PGA, nonostante la popolarità dell’atleta. Il clamore di questa decisione li fa ritrattare a parole, ma non a tal punto da abrogare la sacra legge.

Joe Louis nella seconda vittoria contro Max Schmeling
(Credit: BoxRec)

Finalmente la svolta

Sono molti i casi di giocatori afroamericani rifiutati all’ultimo, scartati a priori o penalizzati per “colorite” motivazioni. Charlie Sifford però ha il temperamento necessario nell’epoca giusta, gli anni ’60, età del cambiamento su tutti i livelli.
Sifford è eroe di guerra, appassionato di sigari e maestro di golf proprio del pugile Joe Louis. Charlie è sei volte vincitore del Negro National Open Championship e si qualifica per un torneo PGA in California, dal quale viene estromesso. Nel 1959 per vie traverse riesce a partecipare allo US Open ma proprio queste curve aggiuntive lo indispettiscono, quindi Sifford denuncia la PGA con l’avvocato Stanley Mosk. Si evidenzia l’infrazione delle leggi sulla discriminazione razziale, la PGA si impunta e sposta in pochi giorni il torneo in Pennsylvania, Stato poco incline alla mescolanza di ombreggiature. Mosk allora informa dell’accaduto gli avvocati di tutti gli Stati degli USA. La PGA è costretta a cedere. Nel novembre 1961 si annulla la “Regola caucasica”

Stanley Mosk e la sua biografia per la libertà dei diritti civili
(Credit: Walmart)

Gli insulti

Charlie Sifford gioca in modo continuativo sul PGA Tour, ma gareggiare nel profondo (e arretrato) Sud degli Stati Uniti non è una questione di leggi, ma quasi di linciaggi. Nel 1962 Sifford si presenta in Nord Carolina accoppiato con Gary Player, ed è proprio quest’ultimo a raccontare l’evento:

“Gli gridavano ‘Vai a casa Negro!’ o gli calciavano la pallina in rough.”

Sifford però è uno che cambia la storia ed i bifolchi sono solo il corollario perfetto, Charlie finisce la gara al quarto posto e vince due volte sul PGA Tour.
Da un terreno vergine si forma un sentiero insperato che tanti percorreranno, fino a rendere chiara la via. Le orme di chi la percorre non dovrebbero far crescere arbusti sul percorso ma l’erbaccia è lì, pronta a ritornare: il diserbante migliore è non smettere mai di camminarci sopra.

afroamericani golf
Charlie Sifford in campo
(Credit: Blackhistoryheroes.com)

“Volevo solo dimostrare che un uomo di colore può giocare questo sport ed essere un gentiluomo. Io, l’ho fatto.”
[Just Let me Play: The Story of Charlie Sifford, the First Black PGA Golfer]

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