Abbiamo assistito, qualche giorno fa, all’anteprima del live action di Aladdin, l’ultimo film sfornato dalla valente Walt Disney. In questo articolo vi diremo la nostra sul lungometraggio che ha (ri)catapultato, a distanza di anni, gli spettatori nelle famigerate “notti d’Oriente”.
Quando si parla di Walt Disney è difficile, un po’ per tutti, scegliere film che spiccano per bellezza su altri. Questo perché la casa statunitense ci ha fornito, nel corso degli anni, lavori praticamente eccellenti. Vere e proprie pietre miliari della cinematografia destinate all’immortalità. Questa meraviglia diffusa dall’azienda di Topolino ha portato gli spettatori ad affezionarsi a film diversi che sono diventati, in base al proprio gusto personale, dei punti cardine delle nostre esistenze.
Aladdin – Il successo “animato”
Uno dei lungometraggi animati che ha riscosso più successo è sicuramente “Aladdin“, film del lontano 1992. Il trentunesimo Classico targato Walt Disney diretto dal duo Clements-Musker. I due registi, sapientemente, sono riusciti a trasportarci nelle magiche e “speziate” atmosfere di Agrabah, una città araba governata dal Sultano. I colori vividi, le ambientazioni orientali, la caratterizzazione dei personaggi secondari e terziari hanno catapultato lo spettatore tra le mistiche terre del deserto.
Usanze totalmente diverse dalle nostre e quel sano, fantastico, tocco di magia: con uno sfondo così, il fulcro del lungometraggio non poteva che essere stupendo ed immortale. Ovviamente, “Aladdin” non ha incamerato l’amore dei fans Disney soltanto per il contorno. Sarebbe riduttivo. La trama del cartone animato è in grado di far sognare grandi e piccini perché mixa alla perfezione avventura, amore, amicizia ed ironia. I personaggi principali hanno ricevuto in dote delle voci che difficilmente dimenticheremo.
L’esempio più lampante è incarnato dal simpaticissimo Genio: Robin Williams (ci manchi, oggi più del solito) in lingua originale ed il grande Gigi Proietti nel doppiaggio italiano. Altro fattore da non sottovalutare: le musiche che compongono la colonna sonora del film. Riuscitissime: anche le note hanno il merito di cullare a ritmo d’oriente i fortunati spettatori. La canzone più famosa è certamente “Il mondo è mio“, dolce raggio di sole che illumina il fiorire dell’amore tra lo “straccione” Aladdin e la principessa Jasmine.
Un lungometraggio animato riuscito talmente bene può essere riproposto in chiave live action? È la domanda che tutti ci siamo posti con quel pizzico di paura mista ad ansia. È possibile eguagliare o migliorare un alfiere di casa Disney? Siamo entrati nel cinema per assistere all’anteprima con questo terribile dubbio. Con quali risposte siamo usciti dalla sala cinematografica? Ve lo diciamo subito: ecco la recensione del film “Aladdin“.
Recensione del live action
Devo dire che mai come oggi è stato difficile fornire una valutazione del tutto oggettiva per il film che ci siamo ritrovati davanti agli occhi.
Aladdin è una pietra miliare dell’infanzia di tante persone, compresa la mia, con una storia permeata a livello così profondo nel nostro essere che stravolgerla è un po’ come, per citare il film “Inside Out“, giocare con i nostri ricordi base.
Per fare un esempio insomma, se negli anni ’90 ero una bambina disturbata che ripeteva il film a memoria battuta per battuta, oggi sono un’adulta ancora più disturbata che continua a fare esattamente la stessa cosa.
Per questo è ovvio che il live action, diretto da Guy Ritchie, incuta una paura incredibile.
Qualsiasi variazione sul tema, per noi fedeli adepti di casa Disney, programmati fin da piccoli attraverso i film che hanno scandito la nostra infanzia, è un colpo al cuore.
Sappiate quindi che se fate parte di questa categoria, non potrete uscire indenni o pienamente soddisfatti dalla sala del cinema.
Tuttavia mi sono imposta di analizzare il film nella maniera più distaccata possibile (è un’impresa ardua e oggettivamente utopica, ma ci proviamo), e in questo caso non si può dire che sia un’opera riuscita male.
Anzi, presa nella sua totalità, è un’esperienza magica ed emozionante.
Ciò per cui si distingue questo nuovo Aladdin, è sicuramente l’incredibile livello tecnico, sfruttato in maniera eccellente.
Fotografia, costumi, scenografie, regia si amalgamano perfettamente in un mondo pieno di colore, e ci catapultano senza alcuna difficoltà nelle atmosfere esotiche di una nuova Agrabah, diversa da come ce la ricordavamo, ma che non manca di affascinarci.
E ciò lo si vede già dai primi minuti, con uno spettacolare piano sequenza introduttivo, che insieme ad Abu ci accompagna tra le strade della città, e mentre anche noi respiriamo l’odore di sabbia e spezie, ci viene subito da pensare che forse non ci troviamo di fronte a quel disastro annunciato al quale ci siamo preparati.
Il tutto è ovviamente aiutato da una grande colonna sonora, che pur essendo un tasto dolente del film a livello sentimentale, è innegabile abbia alla fine creato un risultato sorprendente.
Le musiche sono infatti uno dei diversi aspetti del film che fa sorgere un leggero disturbo bipolare: da una parte, quel lato di noi che è visceralmente affezionato alle canzoni originali, non può perdonare che vengano cambiate le parole per adattarsi al labiale degli attori, ma dall’altra c’è una piccola vocina che, un po’ cullata dalle melodie tanto amate, un po’ spinta dall’evidenza, non può che accettare il fatto che in realtà il risultato continui ad essere inaspettatamente efficace.
In poche parole, nonostante il fastidio del cambiamento, l’incantesimo che quelle melodie sono in grado di creare rimane pressoché invariato.
Stesso problema si presenta riguardo alla trama.
Alla prima deviazione dalla storia originale, alla prima scena che non si presenta esattamente uguale a quella che ricordavamo, il fanatico disneyano che è in noi grida inevitabilmente al sacrilegio.
E’ una reazione fisiologica che non possiamo controllare.
Tuttavia, la storia continua a reggere, rimane accattivante ed emozionante, introduce le variazioni in modo abbastanza delicato (vedi il ruolo di Jasmine più preponderante rispetto al cartone animato, come alla fine è giusto che sia), e si snoda senza risultare mai del tutto banale o forzata.
Che sia chiaro, da amanti irriducibili di Aladdin come mamma Disney ce lo ha servito tanti anni fa, non potrete mai accettare del tutto questi cambiamenti, io almeno non sono in grado di farlo.
Ma nonostante il fastidio incessante che attanaglia la nostra mente, con un po’ di oggettività si riesce anche a dare credito all’ottimo lavoro fatto su questo film.
Persino il genio di Will Smith, personalmente il terrore più grande che avevo, riesce a non stonare, ma anzi l’aggiunta della sua vena comica risulta apprezzabile.
Certo, la mancanza del vero genio, quello di Gigi Proietti (che nel frattempo si diverte a doppiare il sultano), è un colpo al cuore troppo forte da superare.
Il suo doppiaggio ha reso il genio uno dei personaggi più iconici della Disney, e sentire le canzoni con un’altra voce non solo le rende meno efficaci, ma provoca una sensazione simile all’inesorabile voglia di vendetta di Arya Stark nei confronti di Cersei Lannister per l’affronto subito.
Tuttavia non si può negare, anche in questo caso, che il risultato finale vada oltre le nostre più rosee aspettative.
Unica e vera nota dolente, del quale non si riesce a trovare il lato positivo, è il personaggio di Jafar.
Terrore di tutti i bambini dal 1992, il cattivo di Aladdin è forse il più spaventoso di tutti. Non perché mostruoso, ma perché nel suo design è riversato tutto ciò che ci deve essere in un cattivo che si rispetti: un sacco di nero, spigoli e punte a non finire, un fisico ossuto, altissimo, uno sguardo crudele e la voce più profonda e terrificante che si possa trovare.
Sfido chiunque a non provare un inspiegabile senso di soggezione, anche inconsciamente. I signori che hanno disegnato Aladdin sapevano il fatto loro, e non è quindi una sorpresa che siano riusciti a creare un cattivo coi fiocchi.
In questo live action, Jafar non è niente di tutto questo.
Col viso tondo, una vocina minuta, neanche troppo alto ed un carisma piuttosto inesistente, non rende per niente onore al personaggio spietato del quale porta il nome, togliendo in questo caso un pizzico di incisività alla storia.
Per concludere quindi, direi che come già accennato, nel dare un giudizio complessivo a questo nuovo Aladdin, la parola chiave è bipolarismo.
Da una parte il nostro lato bambino, che non crescerà mai e rimarrà sempre attaccato al lungometraggio animato originale, non accetterà mai i cambiamenti apportati (che sono comunque tanti) e soffrirà inevitabilmente nel vedere questo film.
Dall’altra però si deve necessariamente riconoscere che il film sia spettacolare, mastodontico, divertente, emozionante e coinvolgente. Non gli si poteva chiedere di più, e quindi conquista per il momento il titolo di live action riuscito meglio, almeno fino a questo momento.
Perciò è bene che anche i più dubbiosi gli concedano una chance: non vi nascondo che soffrirete, e soffrirete tanto, ma alla fine, usciti dal cinema, inspiegabilmente la sensazione che rimarrà sarà positiva, irrimediabilmente conquistati da quelle Notti D’Oriente che non smetteremo mai di amare.
ANDREA MARI & ANTEA RUGGERO
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