Alam, coming of age sul conflitto palestinese

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Di Carola Crippa

Alam, primo lungometraggio di Firas Khoury, è in concorso alla Festa del Cinema di Roma. Al centro del film il conflitto tra Israele e Palestina e il modo in cui le nuove generazioni lo vivono. 

Un coming of age tra crescita sentimentale e politica

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Un frame di Alam

Il protagonista, Tamer (Muhammad Abet Elrahmann) studia con i suoi amici in una scuola araba israeliana. Nel giorno della nakba (l’indipendenza di Israele), lui e i suoi amici decidono di compiere un gesto simbolico: sostituire la bandiera (alam in arabo significa bandiera) israeliana della loro scuola con quella palstinese. Il film è un coming of age, racconta della storia personale di Tamer e delle sue prime esperienze amorose. Ma non solo, la crescita del personaggio passa anche (e soprattutto) dall’acquisizione di una sua coscienza politica. Se il ragazzo inizialmente è abbastanza indifferente alla questione palestinese, col tempo e grazie alla fidanzata Maysaa e all’amico Safwat inizia a lottere per la propria affermazione e per la causa palestinese. Tamer, infatti, da personaggio inizialmente passivo, prende parte anche ad una manifestazione durante la nabka, conquistando una sua autonomia di pensiero e di azione. 

L’impegno politico è rappresentato su diversi livelli. Ci sono alcuni amici di Tamer, svogliati e disinteressati, preferiscono fumare ed ascoltare musica. Maysaa e Safwat, invece, sono giovani ma già attivi e consapevoli, disposti a lottare per la propria causa, non sempre senza paure. E poi i genitori di Tamer, che lo invitano costantemente a non impegnarsi politicamente e non immischiarsi nel conflitto. 

Il film offre uno spaccato interessante sulle vite degli adolescenti palestinesi. La crescita dei ragazzi passa necessariamente attraverso il conflitto e l’impegno politico. La sostituzione della bandiera rimane quindi un espediente narrativo, un modo per unire le storie dei personaggi e per farli evolvere. 

Schierarsi, di conseguenza, diventa fondamentale. Anche non schierarsi è una scelta, una presa di consapevolezza. Non è un caso, quindi, che il regista abbia scelto di dirigere un’opera fortemente schierata e politica.

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Carola Crippa