Indiana Jones e il tesoro di Alarico

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Di Redazione Metropolitan

Un re barbaro famoso per la sua crudeltà, un leggendario tesoro composto da tonnellate di oro, argento e pietre preziose, spedizioni archeologiche naziste e, sullo sfondo, una delle città più belle e spesso dimenticate del Meridione d’Italia.

Sembra la trama di un film di Indiana Jones, ma – come spesso accade – la realtà ha superato la fantasia.

Tutto ha inizio dalla leggenda tramandata da Cassiodoro: il mitico re dei Goti Alarico, dopo il sacco di Roma del 410 d.C., sarebbe morto presso Cosenza. Qui il suo popolo lo avrebbe seppellito con tutto il suo favoloso tesoro, deviando poi il corso del fiume Busento perché ricoprisse la tomba del sovrano e la custodisse lontano da mani rapaci per sempre.

Salto temporale al 2015: il sindaco di Cosenza, dopo aver accarezzato per qualche anno la storia della “leggenda di Alarico” (si parla di allestire sezioni su Alarico nel museo dei Brettii e degli Enotri già dal 2012, sezioni rigorosamente senza reperti), decide di trasformare il re dei Goti in un brand per rilanciare il turismo nella città, sul modello del Mostro di Lochness.

L’impresa, con tanto di campagna archeologica e annesso museo da costruire all’incrocio tra i fiumi Busento e Crati, nel cuore del centro storico della città, per una spesa di 7 milioni di euro, viene presentata in pompa magna al Parlamento.

Gli scavi partono il 16 novembre: in teoria sarebbero dovuti durare sei mesi, in pratica vengono bloccati dalla Sovrintendenza perché nessuno aveva pensato di richiedere le necessarie autorizzazioni.

Ma lo stop della Sovrintendenza è superato un anno dopo, quando il Sovrintendente Pagano firma una convenzione con il comune di Cosenza in cui, oltre ad autorizzare la campagna di scavo, si promette anche supporto finanziario e di personale da impegnare nelle ricerche.

Per fortuna, dal MIBACT è arrivato uno stop definitivo alla caccia al tesoro, con il rifiuto di finanziare la ricerca e un forte richiamo al sovrintendente Pagano su quella che è stata definita senza mezzi termini “una caccia ai fantasmi”.

Troppe poche le fonti (lo storico Jordanes, riprendendo Cassiodoro, è l’unico a parlare di questa vicenda 150 anni dopo la morte di Alarico), mentre nessun indizio è mai venuto fuori anche durante le ricerche compiute da Himmler nel 1937 (e pubblicizzate, con tanto di brochure, dal sindaco Occhiuto come ulteriore prova della bontà della sua tesi) e da tutte quelle che sono seguite.

Ma non tutto è perduto: il sindaco Occhiuto ha gridato al complotto, convinto che “si stia tentando di inquinare in modo surrettizio una progettualità tanto ambiziosa, sulla base di interesse politico di infimo livello, nonché sulla base di ottusità divulgate da una parte minoritaria del mondo accademico”.

Il sottosegretario al MIBACT Dorina Bianchi è dalla sua parte. Ma l’auspicio è che finalmente Alarico trovi pace e non ci si lanci più in progetti senza alcun fondamento scientifico come questo.

La leggenda della tomba di Alarico, alla fine dei conti, cosa ha portato alla città? Una (brutta) statua alla confluenza dei due fiumi, un impegno di spesa di sette milioni di euro per un museo che resterà vuoto (anzi, sarà riempito di installazioni multimediali, ma sempre zero reperti) e l’ineluttabile sensazione che anche questa volta si sia preferito correre dietro ai fantasmi anziché concentrarsi sulla valorizzazione delle autentiche bellezze della città.

Il centro storico, i musei cittadini, il teatro: tutto è stato scavalcato nella folle rincorsa al mito di Alarico. Cosenza avrebbe meritato ben altro.

Lorenzo Spizzirri