Alberto Sordi e le sue canzoni: il fumo di Londra esisteva davvero

Foto dell'autore

Di Federica De Candia

Come non immaginare il medico alla conquista della mutua di Roma, al secolo Dott. Guido Tersilli, accompagnato dalle note, marcette e tamburi. Era Alberto Sordi e il suo inconfondibile ‘saltello’, sotto l’indimenticabile “Samba fortuna” e la “Marcia di Esculapio“. Ad animare la carriera sanitaria del Prof. Dott. Primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue, le note di Piero Piccioni: Torinese di nascita, fu musicista autodidatta, ascoltando le orchestre alla radio. In “Amore mio aiutami“, Alberto Sordi e Monica Vitti, una coppia in crisi ma comica, si muovono sotto i pezzi romantici del Maestro: raffinati, malinconici, con un violino agrodolce e voce femminile melodiosa. C’è anche una bossa nova dedicata alla luna. Rivedremo Alberto Sordi volteggiare in equilibrio sul bastone in “Fumo di Londra“; il manico dell’ombrello usato per agganciarsi al tram, sempre con la musica di Piero Piccioni. Cantata da Julie Rogers, è “You Never Told Me“(“Breve amore” la versione italiana), scritta da Sordi, Piccioni e Robert Mellin; e “Richmond Bridge“, scritta da Sordi, L. De Domenico e Piccioni. Quel Dante Fontana, in bombetta, pipa e fiore all’occhiello, tenta di mascherarsi in gentleman. Ma è lui, l’italianissimo Alberto Sordi, nato per il cinema e per la musica.

Al volante della Fiat Ritmo gialla, a girovagare per Roma. Lo “Zara 87” sembra volare con l’accompagnamento musicale. “Wishing away“, parte dalla musicassette inserita nell’autoradio, quando Sordi, Pietro Marchetti con tanto di licenza radio-taxi, si reca all’aeroporto romano di Fiumicino a prendere il nipotino dalla Gran Bretagna. Chiede al pargoletto: “conosci questa?”, il giovane Jason Piccioni, figlio del Maestro, la canterà da copione. E ancora, Sordi in coppia con Monica Vitti, sono ballerini della “Compagnia grandi spettacoli” di Mimmo Adami. Con quel motivo divenuto monito “Ma ‘ndo Hawaii?”, scritta da Sordi e Piccioni, citando l’oramai celeberrima banana. Il film è “Polvere di stelle“, e resta quella scena girata su di una terrazza, che sembrava affacciarsi sul mondo, dove danzano, un po’ scombinati ma con sentimento, Sordi e la Vitti; lui fa un salto, lei lo segue con un passo e una giravolta, con le stelle cucite sul vestito azzurro.

Sordi, non erano canzonette

Quando Alberto girava un film, la musica nasceva al momento. Lui raccontava l’idea ed io mettevo giù le prime note, poi osservavo le reazioni e cominciavo ad elaborarla. Lui era molto sensibile ad un certo tipo di musica, alla melodia tardo-romantica”. Queste le parole del compositore Piccioni. Alberto romano di Trastevere. Un comico, i ‘difetti dell’italiano’ le sue doti vincenti, tra umiltà e vanagloria. “Un tipo nuovo questo Sordi che viene dalla radio”, diceva Cesare Zavattini di lui. Mentre tutti in America veneravano Marlon Brando, con un giubbotto di pelle saldo sulla motocicletta, Sordi faceva vergognare gli “americanizzati”. In “Un americano a Roma“, Nando Moriconi, aveva messo in ridicolo quella generazione che copiava gli oltreoceano.

Dotato di un timbro da basso, Sordi ne fece un utilizzo con intelligente ironia. Suo padre Pietro, era basso tuba al Teatro dell’Opera, e da bambino fece parte del coro delle voci bianche della Cappella Sistina (diretto dal magistrale compositore Lorenzo Perosi). A 17 anni vinse il concorso come doppiatore di Oliver Hardy, il noto Ollio. E con quel tono con cui dava la voce all’attore, cantò “Guardo gli asini che volano nel ciel“; e tra le canzonette da cabaret, “Nonnetta” dal film “Mamma mia che impressione“, di cui fu anche produttore, soggettista e sceneggiatore insieme a Zavattini. Un altro brano ‘sarcastico-demenziale’, era “Il bimbo che non conobbe infanzia“. Uno dei vezzi di Sordi, un suo cavallo di battaglia, era cantare con le voci “impostate alla nordica”. La sede RAI al tempo era tra Torino e Milano, e questo ispirava il suo accento: le consonanti doppie venivano alleggerite (noneta, dona, fanciula), la ‘z’ diventava ‘s’ (emosion, aparision).

Quel fumo era polvere di stelle

Il “fumo di Londra” è soltanto ricordo del passato… Il “fumo“, lo smog, sporco e puzzolente, che è stato raccontato dalla storia, dall’arte e dalla musica per secoli, è completamente sparito. Ma esisteva. Oggi tutti i camini londinesi sono spenti, e severamente vietati. “London smoke” non esiste più. Ma non è sfuggito a Sordi regista del film, che ha intrappolato questa coltre grigia anche nelle note. “Excuse me” e “Thank you very much“, ripeteva sempre il suo antiquario perugino nella pellicola; tra una caccia alla volpe, la ricerca di ristoranti dei compaesani, le visite da Christie’s, tutto sembra avvolto da una intraducibile espressione: fumo di Londra. Più che ad una perturbazione, riconducibile al Colonnello Bernacca, è forse, giammai, un sentimento.

In una puntata del format “Storia di un italiano“, retrospettiva di brani della filmografia di Alberto Sordi, è ripreso il finale del film “Fumo di Londra“: “Goodbye, my London town!“, è l’amaro saluto di Dante Fontana dal portellone di un’aereo, alla Londra che l’ha inghiottito ed estasiato di vita. Nel programma tv, il finale è rivisitato, quasi addolcito: Fontana-Sordi, volge lo sguardo per l’ultima volta prima di entrare nell’aereo, e saluta i Beatles appena sbarcati.

Federica De Candia per MMI e Metropolitan Cinema