Algeri, 4 Maggio 2017. Il popolo è chiamato alle urne e i risultati, come sempre in questi casi, forniscono un’ottima chiave di lettura di quello che potrebbe essere il futuro politico del paese.
Dopo più di un ventennio infatti, i tempi sono maturi per porsi alcune domande sui prossimi sviluppi. Anche a causa delle precarie condizioni di salute del presidente Bouteflika, ma non solo, si sta presentando il tema della sua successione.
Bouteflika alle urne il 4 Maggio 2017 (Photo APS)L’ Algeria è da tempo un partner strategico dell’Europa,sia dal punto di vista politico che economico. La lotta senza quartiere mossa dall’FLN, partito espressione del governo, nei confronti dell’estremismo jihadista ha reso il paese un luogo sicuro per gli investimenti europei, soprattutto nel campo energetico.
Chiaramente l’abbassamento del prezzo del barile ha creato non pochi problemi al sistema paese che, di fatto, ha sempre contato su questo settore per elargire sussidi statali più che generosi che hanno permesso di sopire per anni i malcontenti intestini della società algerina. Con il venir meno di questa forma di ricchezza, aggravata da una miope mancanza di diversificazione economica, le manifestazioni di protesta sono aumentate e la tensione è in crescita. Data la situazione, le ipotesi che si possono prendere in considerazione per il dopo Bouteflika sono sostanzialmente due: la rottura o la continuità.
Le manifestazioni sono state gestite alla “maniera algerina”. Qualche giorno fa un commissario della polizia di Algeri, parlando di un imminente raduno di dimostranti, ha affermato in tutta tranquillità: “Se loro sono mille, schiereremo cinquemila poliziotti,ci guardiamo e chi si stanca prima va a casa”. Ovviamente si stancano sempre prima i manifestanti. Questo approccio – su una questione “banale” come l’ordine pubblico – è indicativo della gestione della sicurezza nel paese, dove non a caso le spese militari sono ingenti e l’esercito non può essere considerato solo un braccio ,bensì parte integrante e fondamentale del governo. In questo campo, l’uomo forte del momento è Ahmed Gaid Salah, generale dell’esercito e ministro della difesa.
Da registrarsi dopo le elezioni, oltre all’astensionismo dilagante, vi è l’avanzamento dell’MSP, formazione islamista legata a filo doppio con i Fratelli Musulmani in Egitto e, proprio come in Egitto, potrebbe presentarsi la necessità di un uomo forte che argini questa tendenza “integralista”. Potrebbe essere proprio Salah? E’ sicuramente un ipotesi che segnerebbe una rottura rispetto agli ultimi vent’anni,un generale al potere significherebbe mettere nelle mani dell’esercito un potere che non ha mai avuto, se non per brevi periodi di transizione.
L’unica potenza straniera che potrebbe giovarsene sarebbe la Russia, che intrattiene con l’ Algeria rapporti che risalgono ai tempi dell’URSS che si sono via via affievoliti, eccezion fatta per l’esercito,con il quale non solo ha mantenuto rapporti, ma anzi ha intensificato i contatti (essendo, tra l’altro, il primo fornitore di armamenti, con commesse che spesso superano i cinquecento milioni di dollari).Va considerato tuttavia che l’ Algeria non è l’Egitto, le ferite della guerra civile sono ancora fresche e i 200 mila morti causati in gran parte dalle formazioni jihadiste sono ancora ben impressi nella memoria di tutti gli algerini. Di conseguenza l’opzione del Generale Salah, anche se non da scartare, appare remota.
Putin e Bouteflika ad Algeri nel 2006 (Photo credits:Getty images)Ciò nonostante, il dato elettorale ha messo in allarme la comunità internazionale, in quanto nessun attore vuole una nuova Libia. L’Europa (in particolare la Francia) e gli Stati Uniti premono per la continuità. In questo senso, l’uomo degli statunitensi è sicuramente Chakib Khelil, ex ministro dell’Energia e numero uno di Sonatrach, l’ENI algerina per intenderci . Figura molto vicina all’establishment USA, oltre ad aver conseguito gli studi all’Ohio State University ha lavorato in Nord America per Shell ed altre compagnie petrolifere e, sempre negli Stati Uniti, ha fatto ritorno dopo che nel 2009 emerse lo scandalo Saipem (che lo costrinse ad abbandonare il doppio incarico di Ministro e Presidente Sonatrach).Ora Khelil ha fatto ritorno, e da qualche mese fa la spola tra l’ Algeria e Parigi.
Chakib Khelil (foto dal web)Il suo riavvicinamento proprio in questo momento di transizione non può essere tralasciato: la sua figura garantirebbe la continuità di governo e una maggiore garanzia per gli investimenti stranieri; d’altro canto, la sua debolezza si riscontra nei rapporti con l’esercito, a cui lui è stato sempre estraneo.
Le ultime due ipotesi, ma non per importanza, sono Said Bouteflika, fratello del presidente, e Ahmed Ouyahia, attuale primo ministro. Per quanto riguarda Said, a suo favore giocherebbe esclusivamente il cognome, che probabilmente non funge da adeguato contrappeso alla sua mancanza di leadership e al peso del fratello.
Ahmed Ouyahia, ad Algeri il 29 Aprile scorso (Photo Credits:Reuters)Ouyahia, d’altro canto, pur non essendo un nome di tendenza e giornalisticamente accattivante, potrebbe essere una figura di equilibrio tra continuità e rottura. Infatti, pur essendo vicino all’attuale presidente, non è espressione diretta dell’FLN, bensì del Raggruppamento Nazionale Democratico, formazione vicina alle attuali posizioni governative ma,allo stesso tempo, mediaticamente distante da una nomenklatura che nell’ultimo ventennio ha anteposto agli interessi nazionali quelli dei partner stranieri.
Il conto alla rovescia è partito: che ne sarà di uno degli ultimi baluardi di stabilità del Maghreb?
Federico Rago