Alice Guy: la prima regista a dirigere l’emancipazione femminile

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Di Marta Millauro

Si è mai visto un mondo in cui le donne fumano, bevono al bar, lavorano, si divertono ad importunare gli uomini e lasciano loro il compito di accudire la prole e occuparsi delle faccende domestiche? Oggi i cittadini di una società che si reputa emancipata risponderebbero senza ombra di dubbio “sì”, ma nel 1906 questa accoppiata tra genere e mansioni appariva come pura fantascienza. Nonostante ciò, Alice Guy, la prima regista donna della storia del cinema, volle rompere i tabù del tempo e scrisse un copione che parlava di futuro, quello da lei desiderato.

Intraprendente, visionaria e coraggiosa, si fece strada in un settore ostile ed esclusivamente maschile. La perdita del padre in giovane età la catapultò nel mondo del lavoro e da allora con l’indipendenza economica e una buona dose di genio cercò di rompere le catene di uno schiavismo ideologico che estraniava le donne dalla cinepresa. Alice Guy nacque nel 1873 a Saint-Mandé (Parigi) da una famiglia borghese di librai. Si avvicinò al mondo del cinema quasi per caso, ma non appena comprese le sue potenzialità non esitò ad approfondire la conoscenza.

Fu il lavoro da segretaria al Coptoir général de photographie al fianco dell’industriale Léon Gaumont ad avvicinarla all’innovativo e magico mondo dei fratelli Lumière. Il 22 marzo del 1895 assistette, infatti, alla dimostrazione del funzionamento del Cinématographe, l’apparecchio ideato dai due pionieri del cinema che permetteva di riprendere e riprodurre le immagini in movimento. Per la giovane ventiduenne fu un colpo di fulmine e capì quale fosse la sua missione di vita, raccontare storie attraverso le immagini.

Al primitivo scorrimento lineare di immagini, antesignano delle tecnica del documentario, volle aggiungere la messa in scena, considerando il concetto d’intrattenimento fondamentale per una narrazione divertente e d’impatto. Con il permesso del suo datore di lavoro organizzò quello che ora si chiamerebbe set e riprese la scena. L’attività da regista fu inizialmente secondaria a quella da segretaria, ma con il trasferimento oltreoceano a Long Island le cose cambiarono radicalmente.

Qui fondò insieme al marito Herbert Blaché la Solax Company, casa di produzione cinematografica. Nel 1896 girò il suo primo film a soggetto, intitolato “Le Fée aux choux”, pellicola in cui racconta la stravagante storia di una fatina che fa nascere i bambini dai cavoli di un’orto. Idea che ritornò più volte nei suoi molteplici lavori. Basti pensare che Alice Guy girò ben 2 film a settimana con la sua casa di produzione, di cui divenne la presidentessa nel 1910.

Le Fée aux choux - Photo Credits: tre Fronti Row
Le Fée aux choux – Photo Credits: tre Fronti Row

Con lei la messa in scena sperimentò escamotage tecnici, innovazioni sonore, temporali e visive. Giocò con i colori della pellicola, assumendo abili operaie che colorassero a mano i soggetti, prima con un pennello e poi con la tecnica del decoupage. Introdusse il sonoro con il cronophone, rallentò, accellerò i tempi della riproduzione e sperimentò un primordiale grandangolo.

Tecnicismi che non la distrassero dall’intento culturale delle sue produzioni. Le discriminazioni sociali e la loro presa in giro divennero i temi privilegiati. Distrusse idealmente e visivamente il patriarcato, giocò con i l’identità di genere in un modo che ancora oggi spaventa una parte della società moderna. Truccò e vesti gli uomini da donne e mise i pantaloni al gentil sesso. Il tutto ambientato in un contesto futuro, quello della speranza nel cambiamento.

Realizzò un manifesto cinematografico del femminismo, come descritto nell’introduzione, con “Les résultas du féminisme” nel 1906. Continuò la sua propaganda rivoluzionaria con “La maratre” del 1909, in cui si parla di erotismo e gravidanza con ironia. Si dilettò con “La Esmeralda”, produzione letteraria e teatrale. Sperimentò qualsiasi genere, avvicinandosi alla fantascienza e all’horror. Nonostante ciò molti dei suoi film non vennero considerati dagli storici del cinema o vennero attribuiti a registi maschi suoi collaboratori.

Alice Guy fu una ventata di cambiamento in un periodo in cui la gente si riparava dalla tempesta. Nonostante ciò, se oggi Chloé Zhao vince il Golden Globe con “Nomadland” e Achille Lauro si traveste da donna sul palco dell’Ariston senza destare scandalo, lo dobbiamo un po’ anche a lei. Se, invece, fosse il contrario, vuol dire che la strada per l’emancipazione dai pregiudizi sociali è ancora lunga.

Alice Guy - Photo Credits: ACMI
Alice Guy – Photo Credits: ACMI

Marta Millauro

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