Un titolo può ammaliare, divertire, o essere, come in questo caso, metafisica del cuore. Bisognerà affidarsi ad una scienza esatta, per avere, dunque, spiegazioni sull’amore. “L’amore è eterno finché dura“, è un film di Carlo Verdone del 2004, prodotto da Vittorio Cecchi Gori. Il concetto, racchiuso nell’incipit, fu già ripreso da Diderot, riferito all’opera di Marivaux, drammaturgo e scrittore francese. E ne indica la variabilità delle passioni e la loro incostanza. Verdone ne fa un film. E vince il Globo D’Oro come miglior attore protagonista, e il Nastro D’Argento a Laura Morante miglior attrice.
Apparentemente, il regista, lascia le gag comiche dei suoi personaggi cavalli di battaglia, per guardare, a tu per tu, il dramma. Entra nel territorio nemico delle nevrosi dell’età adulta, e delle difficoltà della vita di coppia. L’occhio è sempre intento nell’osservazione della gente intorno. E, questa sofferenza, che sceglie di rappresentare nel suo momento artistico più maturo, inaspettatamente, sarà anch’essa rivelazione di umorismo puro.
L’amore, eterno match coniugale
Dopo che la moglie Tiziana (Laura Morante) ha scoperto l’occasionale frequentazione di speed date del marito, serate per single per far incontrare uomini e donne, nella cui scheda di partecipazione si è registrato come vedovo, viene cacciato di casa. Così, l’ottico Gilberto Mercuri (Carlo Verdone), che ha il negozio sotto i portici romani di piazza Esedra, cerca ospitalità dall’amico Andrea (Rodolfo Corsato) e dalla sua compagna Carlotta (Stefania Rocca). Intento a mantenere buoni i rapporti con la figlia Marta (Lucia Ceracchi), constaterà, però, che la storia con la moglie è irrecuperabile. E, tenterà di rifarsi una vita, uscendo con altre donne. Ma l’unica con cui entra in sintonia sarà proprio Carlotta, sempre più insofferente alle manie di controllo di Andrea.
Uno dei commedianti più ironici del nostro cinema, che ha dipinto sullo schermo generazioni perdute, figure di “mezza tacca” dalle doti terribilmente umane e tenere, diventa profeta in amore. Ma Verdone, in questa pellicola, non ha la presunzione di dare soluzioni o insegnamenti negli intrecci di cuore; resterà solo un unico suggerimento filosofico o metaforico, che lo spettatore coglierà nel titolo. Verdone, regista, non si erge a maestro di vita, ma è sempre dalla parte del pubblico e, con esso cerca le risposte, non le da. Con dialoghi che fanno a tratti innervosire e a tratti innamorare, rivedremo noi stessi; smidollati, travolti e frenetici, capaci solo di prendere una notte di luna a Roma, per litigare.
Se non dura fa verdura, l’eco di Roma
Ci vuole umiltà, e Verdone ce l’ha: sa benissimo che non può competere con il suo passato cinematografico. Mantenendo la leggerezza, senza appesantire con la serietà, guarda alle dinamiche di oggi. E anche se sacrifica le risate a crepapelle del pubblico, quelle a cui ci aveva abituato, troveremo nel film, una componente irresistibile, ironica e conosciuta: saremo noi allo specchio, rideremo di noi stessi. Perché la vita può ricominciare a 50 anni e anche oltre. E, ognuno, imbracato nei meandri di una disavventura, nell’affettività e i suoi disagi, con l’arte magica di una risata, ne verrà fuori.
E chi l’ha detto che la malinconia non fa ridere? “Anche gli isterici hanno freddo e si avvicinano per scaldarsi”. “Perché dobbiamo far finta di essere forti?” Tutte battute stilate in carta carbone dalla nostra vita. E il Dottor Verdone lo sa, e va sempre a caccia di casi umani. Anche se in amore ci sentiremmo più simili a Furio, con il bisogno continuo di certezze, “Tu mi adori Magda?”, o a Moreno, con l’egocentrismo di chi vuole stupire e finisce per essere coatta caricatura di se stesso, in “L’amore è eterno finché dura” rideremo di quel campionario di follie che ci appartiene. Perdutamente nostro. Tutte trasformazioni che fa l’amore. O, forse, l’amore svela soltanto ciò che siamo; senza difese, vulnerabili, esseri dalle tante debolezze e fragilità. Le uniche razionali verità, a restare eterne.
Federica De Candia. Seguiteci su MMI e Metropolitan cinema !