Dopo gli stupri di Caivano e Palermo, il tema dell’educazione affettiva nelle scuole è saltato al centro dell’agenda del governo. Dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, poi, la questione della violenza di genere ha rivelato ancora una volta la sua urgenza. È in questo solco che è stato ideato il piano “Educare alle relazioni“, che sarà presentato domani, mercoledì 22 novembre: un’ora di incontri a settimana, per tre mesi l’anno, con un totale di dodici sessioni. A coordinare il pool di psicologi e giuristi che ha elaborato il progetto in seno al ministero dell’Istruzione è stato chiamato Alessandro Amadori. Docente di Psicologia alla Cattolica di Milano, con un compenso di 80 mila euro l’anno pagatogli dal ministero, Amadori fa parte dello stesso think tank del ministro Giuseppe Valditara, Lettera 150, e con lui ha anche pubblicato un libro dal titolo È l’Italia che vogliamo. Il manifesto della Lega per governare il Paese.

“Parlando di male e di cattiveria, dovremmo concentrarci solamente sugli uomini? Che dire delle donne? Sono anch’esse cattive? La nostra risposta è ‘sì’, cioè che anche le donne sanno essere cattive, più di quanto pensiamo”. Questa tesi, citata dal quotidiano Domani, è espressa in un saggio pubblicato da Alessandro Amadori, l’insegnante di psicologia che il governo Meloni ha scelto come capo del gruppo di psicologi e giuristi che ha lavorato sulla nuova iniziativa per lavorare sull’educazione affettiva e sentimentale nelle scuole.

Il governo presenterà domani le linee guida del suo piano Educare alle relazioni, che dovrebbe portare l’educazione affettiva nelle scuole italiane con un progetto sperimentale di alcune settimane. L’obiettivo esplicito è sensibilizzare sulla violenza di genere e riuscire a limitarla, generando più consapevolezza negli studenti. A presentare l’iniziativa ci saranno la ministra della Famiglia Eugenia Roccella, il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, e soprattutto il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, che è stato il coordinatore dell’iniziativa. Non è chiaro quali siano le qualifiche che hanno permesso al docente di essere a capo del progetto Educare alle relazioni, dato che l’unica esperienza lavorativa sul tema è il suo ruolo di consigliere di Matteo Salvini durante il primo governo Conte: all’epoca, si legge dal suo curriculum, svolse “studi e ricerche sulla problematica della violenza di genere e in particolare del femminicidio, con analisi delle variabili di contesto psicosociale che agiscono su di esso”.

“Anche le donne sono cattive”, cosa c’è scritto nel libro di Amadori

È possibile che proprio da quelle ricerche sia emerso il libro autopubblicato del 2020 “La guerra dei sessi. Piccolo saggio sulla cattiveria di genere”, scritto con una sua studentessa. Nel testo, Amadori afferma che è sbagliato considerare solo la violenza maschile e non quella femminile: un errore indotto dal politicamente corretto, secondo lui. La violenza di genere, nelle tesi dell’autore, è frutto di “cattiveria”, che è una caratteristica individuale di ciascuno. E “anche le donne sanno essere cattive, più di quanto pensiamo”.

Uno dei capitoli è intitolato “Il diavolo è anche donna” proprio per sostenere questa argomentazione. Qui si cita Adriano Pirillo, autore sconosciuto di un blog amatoriale che contesta le celebrazioni dell’8 marzo perché non ci sarebbe nessuna “differenza morale” della donna sull’uomo, dato che “la prima si comporta spesso come, o persino peggio, del secondo”. Anche se Amadori riconosce che che in queste tesi c’è “quasi una misoginia latente”, concorda sul fatto che la “guerra dei sessi” che dà il titolo al libro veda da una parte i femminicidi e dall’altra la cattiveria delle donne. E per quanto riguarda i primi: “I raptus omicidiari, sostanzialmente, non esistono in quanto tali, ma bisogna piuttosto iniziare a parlare di cattiveria, aggressività e consapevolezza”.

Il punto, secondo Amadori, è che la violenza maschile viene dalla cattiveria, una categoria dello spirito che esiste da sempre e che anche le donne hanno. Il femminicidio, “nella sua inaccettabile brutalità, è in qualche modo il contraltare di una sostanziale fragilità psichica maschile”, al punto che “tanti maschi cercano, nelle pieghe della nostra società post-moderna, la sottomissione al femminile”. Insomma, “dietro la punta dell’iceberg dei femminicidi, sembra però esserci il grande corpo dell’iceberg costituito dal bisogno di sottomissione maschile”.

Gli uomini faticano “ad avere un rapporto equilibrato col femminile: o sono carnefici, o sono vittime”. E dall’altra parte “c’è una piccola, ma appariscente popolazione di donne, che approfitta di questa tendenza maschile alla sottomissione, e ne fa una vera e propria fonte di business”. Ci sarebbe infatti una categoria di donne che “vendicano l’intero genere femminile attraverso una totale svalutazione del maschile e, a tendere, la sua riduzione in schiavitù (con tanto d’imposizione di strumenti di contenimento sessuale e di castità forzata, uno dei cardini della rieducazione maschile, insieme con il rovesciamento dei ruoli nel rapporto sessuale – torna qui prepotentemente in gioco il già menzionato strap on)”.