Ha rivoluzionato il cinema asiatico, diventando la figura cardine del cosiddetto Hong Kong Wave, movimento culturale in voga tra gli anni 70 e 80 che rese la città il centro delle arti figurative. Nonostante ciò, il nome della regista Ann Hui sarà familiare a pochi in Italia a causa di una distribuzione cinematografica che privilegia le produzioni americane. A Hong Kong e, in generale nel continente asiatico, la Hui è, invece, un idolo . Attraverso le sue immagini ha contribuito a sostenere un cinema impegnato sia politicamente che socialmente, senza dimenticarsi di introdurre innovazioni nella fotografia e negli effetti speciali.
La sua produzione ha attraversato quattro decenni, appassionando il pubblico con il genere del melodramma, del documentario e della fiction. Grazie alla sua eccellente capacità di utilizzo del mezzo cinematografico e alla nobiltà del suo intento è stata premiata con il Leone d’Oro alla carriera alla 77esima edizione del Festival del cinema di Venezia.
Ann Hui dietro alla cinepresa
Ann Hui nasce il 23 maggio del 1947 a Anshan in Cina da madre giapponese e padre cinese. Quando ha 5 anni si trasferisce insieme alla famiglia a Macao e successivamente ad Hong Kong. Qui studia all’università di letteratura inglese e letteratura comparata, per poi passare i due anni del mister alla London International Film School. Nel 1975 fa ritorno ad Hong Kong e muove i primi passi da regista all’interno dell’emittente televisiva TVB, dirigendo alcune serie TV e documentari su 16 mm. Durante questi anni ha la grande occasione di assistere il regista King Hu, insieme al quale realizza “Boy from Vietnam”, il primo film a mettere sul grande schermo la tragedia de popolo vietnamita devastato dalla guerra americana.
Nel 1979 Ann Hui si allontana dall’ambiente televisivo e dirige il suo primo lungometraggio: “The Secret”, thriller che racconta di un omicidio realmente avvenuto. La pellicola riscuote un successo enorme e viene acclamata come film migliore del new Wave di Hong Kong. La regista sperimenta, poi, il genere del ghost story con il film “The Spooky Bunch”. Nel 1981 si dedica al secondo film di quella che sarà la trilogia dedicata al Vietnam. La nuova produzione della Hui si intitola “The story of Woo Viet”. L’anno seguente è il turno del terzo film “Boat People”, che esamina nello specifico le sofferenze degli immigrati vietnamiti dopo la guerra.
Ann Hui continua ad ammaliare la critica con “Love in a Fallen City”, adattamento cinematografico del romanzo di Eileen Chang. Nel 1990 dirige uno dei capolavori assoluti della sua filmografia: “The Song of Exile”. Il dramma semi-autobiografico esplora il tema della perdita d’identità che colpisce una mamma esiliata e la difficoltà della figlia nell’orientarsi tra la cultura del genitore e quella del Paese in cui vive. Nel 1995 la regista si dedica, invece, a “Summer Snow”, film in cui una donna di mezza età convive con l’Alzheimer del padre. Qualche anno dopo Ann Hui vince il premio per il “miglior lungometraggio” ai Golden Horse Award con il film “Ordinary Heroes”, racconto il cui protagonista è l’attivismo politico cinese a Hong Kong. Tra i molti film che vale la pena ricordare ci sono anche “July Rhapsody” e “Jade Goddess of Mercy”.

Marta Millauro
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