Finisce l’estate e sulla spiaggia la schiuma delle onde deposita un album da ricordare. Tra i migliori dell’anno e anche di queste ultime stagioni, purtroppo avare di autentiche, grandi rivelazioni musicali.
E così, a un lustro di distanza dal suo ultimo lavoro in studio, diamo il ‘bentornata’ ad Anna Calvi che, come di consueto, non lascia indifferenti. Al contrario…
“Hunter” è il terzo album di studio per la cantautrice inglese 37enne, di origini italiane. L’etichetta è quella di sempre, la Domino (casa discografica dei colleghi Franz Ferdinand e Arctic Monkeys, tra gli altri) e se da un lato i nomi, le influenze di riferimento pronunciate dagli addetti ai lavori son sempre quelle (Patti Smith + Ennio Morricone; PJ Harvey + Jeff Buckley; David Bowie + Edith Piaf), dall’altro notiamo un compiuto e originalissimo percorso di maturazione artistica da parte della nostra attrice protagonista, scevro da qualsiasi tentazione imitativa.
Dieci brani per una quarantina di minuti di incantesimo rock, di “rapimento mistico e sensuale”, come avrebbe cantato qualcuno. Anna ritrova la sua mini-band al completo e in forma smagliante: la poli-strumentista Mally Harpaz e Alex Thomas alla batteria. E degli ospiti di prestigio: Adrian Utley alle tastiere e Martyn Casey al basso, provenienti rispettivamente da Portishead e Bad Seeds, la band di Nick Cave.
Fido collaboratore di quest’ultimo, anche il produttore artistico, Nick Launey, che tra Londra e Los Angeles ha seguito e coordinato l’intero processo d’incisione.
I temi cardine del disco riguardano, come la stessa Calvi ha tenuto a precisare presentando il primo singolo, “la felicità come atto di ribellione, la libertà di identificarsi in ciò che più ci soddisfa, senza restrizioni da parte della società”. Del resto, è ormai superfluo sottolineare quanto il lavoro dell’artista abbia sempre sfidato le rigide convenzioni di genere e orientamento sessuale (“Suzanne & I” e “I’ll Be Your Man”). Ebbene, questo nuovo album è un autentico manifesto di ‘non appartenenza’. Ripetutamente e senza veli,
i brani esprimono desiderio: di sopravvivere, di suonare, di sapere, persino di trovare rifugio in un luogo migliore, ultraterreno. Libera, selvaggia, diretta come non mai: questa è la nuova Anna Calvi.
Le prime tre canzoni avviano di slancio l’opera: “As A Man” graffia sottopelle con chitarre e archi, mentre cresce lentamente con il lavoro della sezione ritmica, tra buio e luce, silenzi attimi pieni di pathos. “Hunter” pare cucita su misura per le assi del palcoscenico del Bang Bang Bar di Twin Peaks, con le sue tastiere tastiere in stile Angelo Badalamenti. “Don’t Beat The Girl Out Of My Boy” è il singolo apripista perfetto. Melodia vocale contagiosa, subito memorizzabile, un suono quasi tribale richiamato dalla batteria e la voce che si innalza a vette inusitate, riportando alla memoria le sfide vocali di un Jeff Buckley.
“Indies Or Paradise” porta a un cambio di atmosfere, col suo giro di basso vischioso e insistente, tra sussurri e grida, graffi chitarristici e i contrappuntati del coro della stessa Calvi. “Swimming Pool” è la più sensuale: sinuoso canto di sirene (come nell’album precedente era stata “Sing To Me”) tra chitarre arpeggiate e una vocalità che echeggia Edith Piaf, così piena di Pathos, di salite e discese di tonalità che davvero trasportano l’ascoltatore in un’altra dimensione.
Con “Alpha” l’ambiente torna pericoloso, provocatore, e si affila la tensione sensuale più di una lama di coltello. Di nuovo chitarre in frantumi e lame di luce nel buio. “Wish” possiede un giro di basso molto new wave, vortica come un incantesimo stregonesco recitato/messo in scena con crudo realismo, con inattesi intermezzi che elevano verso il cielo prima di riabbattersi sul pubblico complice un solo di chitarra elettrica essenziale quanto avvolgente, a nostro avviso il più bello dell’album. “Away” è sospesa su una nuvola, solo voce e chitarra, intima e raccolta. Tappeto di tastiere in chiusura. “Eden” è impreziosita da un ritornello paradisiaco, tra fraseggi di chitarra elettrica priva di effetti e voce che evoca, appare, scompare, nel suo barocco-gotico anni Novanta.
“Sto dando la caccia a qualcosa” prosegue Anna, cui ci affidiamo per la conclusione: “desidero di più, desidero esperienze, azione, libertà sessuale, intimità, il desiderio di sentirsi forti, protetti ed infine, il desiderio di trovare qualcosa di bello in questo caos. Voglio andare oltre il concetto di ‘genere’. Non voglio scegliere fra il maschile e il femminile che è in me. Sto combattendo contro il sentimento di estraniazione e cercando un posto che mi faccia sentire a casa. Penso che il ‘gender’ sia uno spettro. Penso che se ci fosse consentito essere da qualche parte nel mezzo, non spinti verso gli estremi della femminilità e della mascolinità, saremmo più vicini alla libertà. Voglio scoprire com’è essere qualcos’altro […] una sessualità sovversiva, che va oltre a ciò che ci si aspetta da una donna in questa società patriarcale […]. Sono affamata di esperienze. Lo scopo di quest’album è quello di essere primordiale e bellissimo, femminile e mascolino, vulnerabile e forte, essere il cacciatore, ma anche la preda”.
“Hunter”, in conclusione, è il disco in cui i numerosi talenti di Anna Calvi si cristallizzano. L’autentica cifra stilistica che la contraddistingue è stata evocata e ora i confronti che da anni le sono solo d’intralcio sbiadiranno definitivamente. Evaporati grazie al vento maestoso che soffia tra le pieghe di questo album.
Ariel Bertoldo