La tragedia di Antigone, riproposta dal regista Eugenio Sideri insieme ai ragazzi del Liceo sociale Giosué Carducci di Ferrara
Teatro di Dioniso, 442 aC: va in scena la tragedia di Antigone di Sofocle. Antigone con il suo gesto di disobbedienza all’autorità che l’ha resa immortale. Sorella di due comandanti che in guerra si sono uccisi a vicenda e che sono anche i suoi due fratelli. Uno di loro, Polinice, è morto assediando la città di Tebe, per questo inviso all’autorità di Creonte, che con un decreto ne impedisce perfino la sepoltura.
Ma Antigone disobbedisce, un gesto di semplice umanità per il fratello morto, che si scontra contro il muro di superbia e grettezza del nuovo re salito al potere. Tant’è che viene condannata a passare il resto dei suoi giorni in una grotta, dove alla fine si toglie la vita.
Il regista Eugenio Sideri, protagonista di questo ciclo di articoli dedicati ad approfondire la sua visione drammaturgica della tragedia, racconta l’ esperienza con i ragazzi del liceo Carducci di Ferrara, nell’ambito del progetto di pedagogia teatrale a partire dal biennio 2014-15. Un approccio che abbiamo imparato a conoscere come antiretorico e giocato tutto sul filo dell’immediatezza. Aiutato, in questo, dalla genuinità delle emozioni che regala l’adolescenza, ancora senza filtri e doppiezze.
Non si tratta di rievocare, con artifici attoriali, i guerrieri, o le parole sofoclee: parrebbero finti. Si tratta di dare alla situazione una verità immediata, non mediata: i ragazzi non fingono.
Antigone, i ragazzi e l’immediata percezione della tragedia
Il lavoro su Antigone con gli studenti – racconta – parte dall’immagine dei morti distesi intorno alla città di Tebe. Le sue mura alte e intorno i due grandi eserciti che si sono scontrati. Tra i cadaveri, anche i due fratelli comandanti, Eteocle e Polinice. Questo è lo scenario davanti ai tebani, che riaprono le loro finestre dopo la battaglia: una distesa di corpi.
Poi Sideri fa una proposta che, all’inizio, pensa sia una sciocchezza: chiede ai ragazzi di distendersi lungo i corridoi della scuola, in attesa che il pubblico si raduni per assistere, poi, all’evolversi della tragedia.
Ma si sbaglia. Perché loro invece, all’idea di stare a “fare i morti” per alcuni minuti, sono letteralmente entusiasti. Poi aggiunge che “la visione improvvisa di trenta adolescenti stesi per i corridoi e nel cortile antistante la scuola, è tremenda. E’ tragedia. Sì, stavo sbagliando: questa è già tragedia. Loro, i ragazzi, inconsapevolmente, lo avevano già capito”.
La censura di Calimero e la disobbedienza di Antigone
Come in Medea, altra opera di cui si è parlato nell’articolo precedente, anche per Antigone, Sideri si serve di un’immagine per esprimere in modo ancora più vivido il messaggio dell’Antigone. Come a voler sottolineare il legame inconscio, sotterraneo e profondo di tutto il pensiero umano in una memoria artistica collettiva. Questa volta è il personaggio di Calimero.
Tutti i ragazzi indossano una maglietta bianca con stampato un disegno, l’icona dello spettacolo. Proprio lui, il pulcino nero, che molti ricordano nelle strisce e nei cartoon degli anni ’70, simbolo della bontà e dell’amicizia, emarginato perché “piccolo e nero”, ma capace di risolvere problemi e aiutare tutti. Ebbene proprio quell’innocuo pulcino venne censurato in Argentina durante la dittatura militare.
C’è una frase, costante, che lo caratterizza: “E’ un’ingiustizia!”. La censura militare argentina ne impedisce la pubblicazione, proprio a causa di questa frase, quasi un oscuro ma al tempo stesso palese monito a quello che lo Stato sudamericano stava vivendo.
Una voce piccola, emarginata, lanciata verso chi è “più grande” e più forte, ma vera, sincera, apparentemente innocua come un pulcino. A chi fa paura un pulcino? Può davvero far paura un pulcino? Allo stesso modo a chi fa paura quell’innocuo gesto di una ragazza, Antigone? Una manciata di terra come segno a seppellire il fratello, piccolo e semplice gesto a mostrarsi insofferente verso la legge costruita da Creonte.
Un atto appena visibile, ma significativo. Un gesto soffocato. Un atto di rivolta, non tanto verso il potere in sé, ma verso chi del potere abusa, si arroga diritti sopra le leggi degli uomini e degli dèi.
Il coro che dà voce a ogni personaggio della tragedia
Coro è la città di Tebe che piange i suoi caduti in battaglia, coro è il popolo che chiede a Creonte di ritirare l’editto e ragionare, ma coro è anche la voce di Antigone, è quella di Creonte. C’è sempre un gioco di scambio continuo: una ragazza interpreta Antigone, e con lei il coro, che in quel momento è Antigone. Un ragazzo dà voce a Creonte, e il coro si fa Creonte. Quello che è importante è che l’esperienza del racconto di questa tragedia non veda escluso alcuno. La comunità intera, come succedeva nell’antica Grecia, va a teatro e compie il teatro, rito e momento politico dell’intera società cittadina.
La Trilogia della vita nel teatro di Epidauro
“L’esperienza, che ha avuto inizio nel 2014-15 – conclude Sideri – la riproporremo nel 2019, realizzando la Trilogia della vita“. Nello spettacolo sono raccolti i lavori su Medea, Elettra e appunto Antigone. Il progetto arriva in Grecia e lo spettacolo realizzato nel prestigioso teatro di Epidauro, costruito nel 360 aC e considerato il teatro greco antico più perfetto per l’acustica, oltre che in alcuni licei superiori di Atene.
Anna Cavallo