La “disperazione mortale” di Antonia Pozzi
Il 3 dicembre 1938, gli occhi della ventiseienne Antonia Pozzi si chiudono per sempre. Il pomeriggio del giorno precedente alcuni passanti avevano raccolto il suo corpo agonizzante sul prato attiguo alla certosa di Chiaravalle, all’estremo lembo meridionale di Milano. Dopo avere scritto una lettera di addio ai suoi genitori, Antonia Pozzi ingerisce un intero flacone di barbiturici per trovare “la sua pace”. Ci mette 24 ore a morire. Fino al giorno della sua morte non era mai stata pubblicata una sola delle poesie che aveva cominciato a scrivere, diciassettenne, nel 1929.
Nata il 13 febbraio 1912, figlia dell’avvocato Roberto Pozzi e della contessa Lina Cavagna Sangiuliani in una vasta tenuta terriera a Bereguardo (vicino a Pavia), Antonia Pozzi, cresce in un ambiente colto e raffinato, anche se severo. Dopo un’infanzia ricca di stimoli culturali, studia al Liceo Classico Manzoni di Milano. Lì si invaghisce, corrisposta, di un professore di greco e latino, Antonio Maria Cervi, che ha 14 anni più di lei. Non è un uomo particolarmente affascinante ma la Pozzi è attratta dalle sue lezioni di etimologia sulla “flessione delle parole”.
L’amore per il professor Cervi
Antonia lo descrive così in una lettera del 21 agosto 1928 alla nonna. “Una gran fiamma dietro a una grata di nervi. Un’anima purissima anelante a sempre maggior purezza, destinata purtroppo a inaridirsi sola, in una sete inesauribile di sapere, di perfezione, di luce. Uno studioso dalla cultura sterminata, dalla memoria prodigiosa, dalla volontà ferrea che gli faceva passare la vita nelle penombre delle biblioteche, chino sulle più ardue pagine di filosofia. Un insegnante tutto ardore ed entusiasmo per la scuola, tutto affetto fraterno per gli scolari; un povero figliolo che, a vent’anni, si è veduto morire sul Grappa il fratello maggiore, e poco dopo il padre […]”.
Nei sei anni che dura la loro relazione, Antonia parla spesso dell’ipotesi di un loro figlio da chiamare “Annunzietto”. Resta il dubbio se per un tempo quel figlio lei se lo portò effettivamente in grembo e questo fino a un’interruzione volontaria della maternità. In una lettera straziante al professor Cervi, dove viene menzionato quel loro figlio mai nato, lei parla di “una bara invisibile”.
Il tema dell’amore per il professore è centrale nelle poesie di Antonia Pozzi. Nel 1933, scrive nel suo diario di aver dovuto rinunciare “non secondo il cuore, ma secondo il bene”, ostacolata dal padre che contrasta in tutti i modi la relazione.
Il tormento per una vita non vissuta
ll tormento per quell’amore mai vissuto pienamente continua ad angustiarla anche durante l’università. Iscritta a Lettere e Filosofia nel 1930, si laurea con lode cinque anni dopo. Il periodo passato alla Statale di Milano è colmo di nuove amicizie e apparentemente “normale”. La sua vita era quella di una ragazza privilegiata, borghese, colta e curiosa, appassionata di montagna e fotografia. Antonia però continuava ad amare il suo professore del liceo. La corrispondenza dura almeno fino al febbraio del ’34, accompagnata dall’ avversione del padre di lei, un’ostilità che si manifesta persino dopo la morte di Antonia, quando l’ avvocato Pozzi si trova per le mani le poesie dedicate al professore e cancella quel nome.
Gli anni della Statale
Dal 1930 si apre per Antonia una nuova stagione. Iscritta alla facoltà di Lettere della Statale, frequenta i corsi di filosofia tenuti da Antonio Banfi, in particolare le lezioni di estetica. Entra a pieno titolo nel gruppo dei suoi allievi prediletti. Una straordinaria officina del pensiero dove troviamo: Vittorio Sereni, Giulio Preti, Remo Cantoni, Alberto Mondadori, Enzo Paci e Luciano Anceschi. Con Banfi la Pozzi si laurea discutendo una tesi su Flaubert, che verrà poi pubblicata a cura del filosofo. Eppure Banfi non è tenero con la giovane allieva. Un giorno, racconta Elvira Gandini, lei gli porta da leggere alcune sue poesie. “Si calmi, signorina”, è l’altezzosa replica messa per iscritto dal celebre professore.
Inizia a lavorare come insegnante, mentre i suoi taccuini diventano sempre più ricchi di poesie e scatti fotografici. Nel 1934 inizia a dimenticare la vita non vissuta con l’amato professore. “E’ terribile esser donna e subire uno scacco dopo l’altro” scrive Antonia Pozzi in un suo diario. La rifiutano il bel filosofo Remo Cantoni e Dino Formaggio, caro amico con cui condivide la passione per le passeggiate in montagna.
Angoscia creativa e forte intelligenza filosofica
A quel punto, quella sera del dicembre del 1938, non le resta che scrivere il proprio addio ai suoi genitori e avviarsi l’indomani verso Chiaravalle, lì dove aveva passato dei bei momenti con Formaggio. Aveva provato già a uccidersi già un’altra volta, ma i genitori erano arrivati in tempo a salvarla. Con la depressione e con la morte conviveva da tempo, fin da quando era uscita dall’ adolescenza: ne sono prova molti suoi versi e tante annotazioni di diario
Dopo la sua morte, il padre borghese non accetta alcuni versi di Antonia. E così manipola le carte e, fra le altre, massacra a colpi di penna una poesia che solo ora si può leggere, Canto della mia nudità.
“Oggi, m’ inarco nuda, nel nitore / del bagno bianco e m’ inarcherò nuda / domani sopra un letto, se qualcuno / mi prenderà. E un giorno nuda, sola, / stesa supina sotto troppa terra, / starò, quando la morte avrà chiamato”.
La poetessa è stata raccontata nel cine-documentario della regista milanese Marina Spada Poesia che mi guardi, presentato fuori concorso alla 66ª Mostra del Cinema di Venezia. Il 19 febbraio 2016 esce il film sulla sua vita intitolato “Antonia” di Ferdinando Cito Filomarino, con Linda Caridi nel ruolo di Antonia Pozzi. È citata in Chiamami col tuo nome, uscito nel 2017, dal personaggio di Marzia (Esther Garrel) che riceve un libro di sue poesie dal protagonista, Elio (Timothée Chalamet). Nel film, ambientato nell’estate del 1983, Elio dona a Marzia una copia dell’edizione Garzanti di Parole curata da Alessandra Cenni e Onorina Dino per la collana Poesia. Questa edizione nella realtà è comparsa per la prima volta nel 1989.
Se ti è piaciuto l’articolo puoi leggerne altri qui