Si aprono le porte dell’esercito per le donne in Arabia Saudita, come riferito dall’Arab news pochi giorni fa. Un grande passo in avanti per i diritti delle cittadine della monarchia ultraconservatrice, garantito dalla sentenza del Ministero della Difesa del paese che dà definitivamente diritto alle donne di imbracciare le armi, nei ranghi militari da soldato a sergente nella Reale Forza Terrestre Saudita, in quella di Difesa Araba, nella Marina Reale Saudita, nella Forza Missilistica Strategica e nei Servizi Medici delle Forze Armate.
A partire da domenica scorsa, dunque, ogni donna può candidarsi attraverso un portale di ammissione unificato, vale a dire per entrambi i sessi. Una volta superata la candidatura, ogni ‘concorrente’ deve superare le procedure di ammissione stabilite in base a parametri specifici: ad esempio avere la fedina penale pulita, o essere idoneo al servizio dal punto di vista medico; ma per le donne ci sono ulteriori specifici criteri, come quello di avere un’età compresa tra i 21 e i 40 anni (17 anni è invece il limite di candidatura), essere alte almeno 155cm (per gli uomini il minimo è 160cm) e non essere dipendenti governative. Devono, altresì, essere in possesso di un diploma di scuola superiore, non devono essere sposate con cittadini stranieri e devono possedere una carta d’identità nazionale indipendente: questo perché fino al 2013 le donne potevano essere identificate solo se accompagnate da un membro della propria famiglia. Della serie, “essere nata non equivale alla tua esistenza nel mondo”.
Nel raggiungimento di questo importante traguardo, non sono chiaramente mancati i dissidi e le controversie all’interno del paese, così come in tutti i paesi arabi, che negli ultimi 30 anni hanno dibattuto ardentemente sulla questione dell’ingresso delle donne nelle forze armate: da adesso le cittadine saudite potranno essere impiegate come soldati, soldati scelti, caporali, sergenti e sergenti maggiori, grazie ad un piano annunciato per la prima volta nel 2019, come riportato da Al Jazeera; anche se, secondo la BBC, già nel 2018 si era parlato di aprirsi all’ammissione delle donne in posizioni con il grado di soldato nelle province di Riyadh, La Mecca, al-Qassim e Medina, dandogli così la possibilità di lavorare nella sicurezza ma non senza qualche restrizione: le donne infatti non erano coinvolte nel combattimento e dovevano rispondere a 12 limitanti requisiti di accesso, tra cui arruolarsi nella propria provincia di residenza o avere il permesso – e questo non suona nuovo – del proprio tutore, nonché marito, padre, fratello o figlio: un qualsiasi parente insomma, purché di sesso maschile – viene facile aggiungere.
Tale recente provvedimento rappresenterebbe l’ultima mossa del programma di riforme messo in atto dal principe ereditario Mohammed bin Salman che intende trasformare quella saudita nella più grande economia del mondo arabo, e come? aumentando la partecipazione delle donne alla forza lavoro. Le stesse che, prima di tutto questo, avevano opzioni di impiego piuttosto ridotte, e quando riuscivano a farsi assumere, lavoravano principalmente come insegnanti o impiegate statali. Il diritto delle donne alla guida è stato riconosciuto solo nel 2018, e l’ipotesi di un loro ingresso nel mondo dell’economia ha immediatamente aperto alla possibilità di raggiungere un rendimento fino a 90 miliardi di dollari entro il 2030. Quello stesso anno, tra l’altro, è stato concesso loro il diritto di assistere alle partite di calcio, mentre nel 2019, gli fu concesso di lasciare il paese senza il permesso di un parente maschio.
Piccoli passi, questi, che in alcune zone del mondo rappresentano vere e proprie vittorie, mentre a noi consentono solo di non stupirci più se, una volta arrivati in Arabia Saudita, ci imbattiamo in donne che lavorano come cassiere nei centri commerciali, o che gestiscono la lista d’attesa e i tavoli di un ristorante o che persino ci preparano un cappuccino: lavori professionali che una volta erano accessibili solo agli uomini, specie se si pensa alla professione notarile che dal 2020 il Ministero della giustizia ha aperto definitivamente all’ ‘universo femminile’ nominando 100 donne e spianandogli la strada per la futura e probabile nomina anche di giudici.
Reazioni positive, dunque, sono quelle emerse dinanzi tale espansione dei ruoli e dei diritti sul lavoro per le donne, in un paese ancora troppo retrogrado e severamente patriarcale, dove le donne sono messe da parte non solo in quegli ambiti dove, in fondo, anche noi tuttora lottiamo per emergere, ma anche negli ambienti più ‘familiari’, dove la figura della donna e le sue potenzialità, in Italia, così come altrove, vengono date quasi per scontata. E soprattutto ne viene riconosciuta l’esistenza. Eppure, quelle stesse reazioni positive non convincono del tutto: perché non denotano una totale apertura, o nuove libertà; al contrario, è ancora molto radicata la convinzione che le donne siano in realtà fortemente passive, in grado di ricoprire solo ruoli assistenziali. Per un cambio di mentalità ci vuole ben altro.
Dieci giorni fa, a riguardo, Lina al-Hathloul, sorella dell’attivista per il diritto alla guida Loujain Al-Hathloul, nonché ‘motore’ della campagna internazionale per il rilascio di lei dopo più di mille giorni di reclusione e torture, ha dichiarato alla CNN che “Possiamo davvero constatare come l’empowerment femminile in Arabia Saudita sia una ‘bugia’, che non ci sono vere riforme. La gente è ancora oppressa, anzi forse adesso lo è di più… c’è davvero un clima di terrore sotto MBS [Mohammed bin Salman]”.
Insomma, come al solito le donne devono lottare per vedersi riconosciuti diritti umani e sacrosanti. E anche quando sembrano sulla vetta di una lunga salita, è meglio rimandare i festeggiamenti, perché la ‘montagna scalata’ non è sempre quella che determina la loro reale emancipazione in termini decisionali. E, come in questo caso, la conquista di una parità di genere in ambito militare, non è detto che non celi uno strategico piano che mira esclusivamente a consolidare il potere del regno a livello economico e politico, più che rafforzare il potere delle donne. Uno spirito conservatore e oppressivo come quello dell’Arabia Saudita necessita di ancora più moventi per potersi ritenere fieri dell’ ‘habitat’ in cui si vive. Ma quello che non si dovrebbe mai sottovalutare è che chi ogni giorno lotta per vedersi riconoscere libertà e vivere spontaneamente la propria vita ha vinto già in partenza. Se solo potessimo prenderne coscienza, potremmo risparmiarci lo sforzo di lottare.
Francesca Perrotta