“Arancia Meccanica”, uno dei tanti capolavori di Stanley Kubrick, trova spazio stasera su Iris alle ore 21. Riviviamo insieme questa immensa opera.
Stanley Kubrick ha ormai trasceso l’essenza stessa dell’idea di regista, difatti, volenti o nolenti, la mitologia che ha contribuito a creare con le sue pellicole, fatta oggetto di culto da svariati appassionati del grande schermo, oggi è divenuta quasi una religione per i suoi seguaci. Tuttavia, prima di “Arancia Meccanica”, la volontà del regista britannico di appropriarsi dei generi che compongono la settima arte, da diversi critici era stata vista come sinonimo di potenziale pronto a esplodere. L’enigmatico e sempiterno finale di “2001: Odissea nello Spazio” lasciava presagire una virata visionaria ben distante dai precedenti lungometraggi, vicini e codificati nel loro genere di appartenenza. Serviva qualcosa di differente, di “assurdo”, di ancor più visionario. Kubrick, allora, preso in mano “A Clockwork Orange” di Anthony Burgess, romanzo uscito nel 1962, diresse un film con lo stesso titolo e, finalmente, incise il proprio nome nel gotha dei più grandi cineasti di sempre.
La storia di Alex DeLarge, un violento, crudele e antisociale ragazzo figlio della media borghesia, è molto complessa da individuare, soprattutto per la grossa presenza di contraddizioni e simbologie inserite da Kubrick (e Burgess, ovviamente). Alex, capo della banda dei drughi, è ossessionato dalla violenza e dal sesso, tanto che il suo divertimento consiste esclusivamente in questo e, non dimentichiamolo, nell’ascoltare il suo caro Ludovico van Beethoven. Arrestato per un crimine, dopo due anni di reclusione, accetta il trattamento Ludovico proposto dal nuovo governo, ossia farsi legare davanti a uno schermo che trasmette episodi di violenza con la Nona sinfonia di Beethoven in sottofondo. Tali misure coercitive lo porteranno ad avere la nausea per ogni atto vandalico del suo passato, divenendo il suo esatto opposto, tuttavia, finito presso la casa di uno scrittore cui aveva stuprato la moglie, diviene parte di una congiura antigovernativa. Riconosciuto dallo scrittore, tenta il suicidio e, passato diverso tempo in coma, riacquista il proprio sadismo, sperando di poter divenire un membro del governo lui stesso, in modo da applicare la violenza “per legge”.
La trama di “Arancia Meccanica”, sintetizzata in queste poche righe, in realtà si apre a diverse interpretazioni, alcune delle quali lontane dalla semplice ed evidente critica alle ipocrisie governative. In sé, oltre alle migliaia di pagine che si potrebbero scrivere su quest’opera, l’insieme delle due “identità” di Alex potrebbe benissimo essere una critica diretta all’individualismo e all’alienazione dell’individuo in una società sempre più progressista, capace di tramutare l’uomo in “mezzo” e non più in “fine”. Una sorta di anticipazione di quanto oggi stiamo vivendo.
Il governo, capace di biasimare la violenza e i suoi effetti sulla gente “perbene”, diventa a sua volta protagonista di atti violenti, coercitivi e, paradossalmente, benvisti dagli stessi individui che li condannerebbero qualora fossero compiuti da persone comuni. La critica rivolta al potere, tuttavia, assume delle connotazioni decisamente più ampie se si mettono in conto le ragioni di tali contraddizioni. Abbiamo parlato della gente “perbene”, dunque, un’osservazione sull’individuo comune, coinvolto in un metro di giudizio comune, non suo ma impostogli dal sistema, diventa artefice del degrado stesso della società, portando all’emarginazione degli individui i quali, tuttavia, non sono altro che il suo frutto.
Il sesso, l’ossessione di Alex per il piacere, nondimeno, è demonizzato tanto quanto la violenza sadica espressa dal protagonista, benché, l’atto in sé della seduzione, stia alla base della conquista del potere. La massa diventa un personaggio informe, quasi una sorta di nube che giace sulle teste dei drughi, di cui, loro stessi, tuttavia, ne fanno parte.
Ma la grandezza di Kubrick non sta nel proporci un emarginato come un antieroe tragico capace di conquistare un posto nel nostro cuore. Il bravo narratore, come detto, è quello che pone gli accenti sulle contraddizioni, evitando tesi saggistiche. Alex non è un personaggio da compatire, tutt’altro. Il trattamento che Kubrick riserva a lui è quasi macchiettistico, evidenziando come non ci sia nessuna vera motivazione dietro a quegli atti di violenza, quantomeno non nel suo passato. Kubrick costruisce un personaggio che è crudele e spietato perché “è così”, e le sue ragioni non sono degli ipotetici maltrattamenti subiti durante l’infanzia, bensì una volontà di ribellione veicolata male ma che vorrebbe, in un certo senso, destabilizzare lo status quo creatosi.
Al che, ne consegue la domanda che tutti, vedendo il celebre finale aperto, si sono posti: Alex è davvero guarito? Tale questione, in buona sostanza, si pone come riassunto di quello che era, in sé, il principio narrativo e tematico del maestro britannico: può una persona guarire dai suoi mali se i suoi curatori ne sono afflitti al contempo? Ecco, qui possiamo trovare la soluzione a tutto: chi cura i curatori? Kubrick, con questa semplice tematica, evidenzia un problema presente in narrativa da secoli. Scomodando Giovenale e Platone ancora prima, ci chiediamo da tempo “chi custodirà i custodi?”. Pertanto, la risposta alla domanda, imponendosi come dubbio atavico da secoli, non potrà mai esservi. O forse c’è, ma non abbiamo il coraggio di accettarla.
Ci sarebbe tanto altro da dire su “Arancia Meccanica”, tuttavia, come scritto poc’anzi, le pagine si sprecherebbero. Le interpretazioni sulla simbologia di questo film sono innumerevoli, e, il più delle volte, divergono le une dalle altre. Su una cosa soltanto possiamo tutti concordare: “Arancia Meccanica” è, e per sempre rimarrà, un capolavoro inarrivabile e, come detto, il film che ha definitivamente consacrato Kubrick nell’olimpo della settima arte.
MANUEL DI MAGGIO
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