Atac da ieri è senza direttore generale: Bruno Rota si è dimesso. E non senza polemiche e accuse di “tradimento”. Per la sindaca Raggi è l’ennesimo addio dell’ennesimo manager, a poco più di un anno dall’elezione, e l’ennesima grana. Anche per colpa di quel consigliere comunale accusato di presunte “raccomandazioni”.

Bruno Rota, ex dg di Atac credits: formiche.net

La versione di Bruno Rota sulle dimissioni da Atac

Bruno Rota non è più il direttore generale di Atac. E questo è uno dei pochi fatti certi e oggettivi dell’intera vicenda. Si perché l’addio del manager di Domodossola all’azienda di trasporto pubblico di Roma è stato preceduto e seguito da tante parole e molte polemiche.

Nei giorni scorsi sui giornali italiani è apparsa la notizia che Manuel Fantasia, amministratore unico di Atac, nominato lo scorso settembre dalla sindaca Raggi, aveva ritirato le deleghe di Bruno Rota e che quindi c’era l’intenzione di cacciarlo. Versione smentita dallo stesso Rota, dimostrando di aver presentato volontariamente le dimissioni il 21 luglio e sostenendo che Virginia Raggi gli avrebbe chiesto di restare e non di andare via.

«Ho dato le dimissioni il 21 luglio con una lettera protocollata. In base al contratto dovevo dare quindici giorni di preavviso, quindi avrei lavorato fino al 4 agosto al massimo, ma era mio interesse cessare anche prima. Sono stato pregato di restare (e non era la prima volta) perché era in corso l’operazione che ho suggerito».

Quale operazione? Il concordato preventivo in continuità. L’unica opzione, per Rota che “salverebbe i posti di lavoro” e con la quale “si potrebbe tentare di rientrare da questo indebitamento molto oneroso ma in un quadro giuridico certo, regolamentato dal tribunale”. Un debito di un miliardo e 350 milioni.

Le interviste di Rota e le polemiche di Stefano sul dg di Atac

Dunque Rota ha dato volontariamente le dimissioni da direttore generale di Atac e Virginia Raggi avrebbe provato a farlo restare. Ma allora cosa ha scatenato questo putiferio? A sentire lo stesso Rota sarebbero state alcune interviste rilasciate nei giorni scorsi ad avvelenare un clima che, fino a pochi giorni fa, sarebbe stato invece piuttosto sereno. 

Bruno Rota e Virginia Raggi credits: unionesarda.it

In particolare l’intervista al Corriere di giovedì scorso.  Al quotidiano aveva, in effetti, affidato parole molto schiette e dure. Aveva parlato di soldi finiti, tempo scaduto, di un’azienda, l’Atac, che riesce a pagare gli stipendi solo con sforzi immani da parte del Comune di Roma, sforzi “non ripetibili all’infinito”, un’azienda in cui “ognuno fa come gli pare” e in cui nessuno rispetta le regole e i controlli

Sicuramente la verità, come dicevano i romani, sta nel mezzo: il clima non era sereno e l’avventura di Rota in Atac era già al termine (aveva già rassegnato le dimissioni). Le parole affidate alla stampa hanno dato fuoco alle polveri, col risultato che conosciamo: dal silenzio stizzito della sindaca di Roma e del M5s alla nota, critica e polemica, nei confronti di Bruno Rota, di Enrico Stefàno. Nota non concordata col Campidoglio. All’ormai ex dg di Atac non resta che rispondere per le rime al presidente della commissione Trasporti, attaccando duro e dicendo; 

“So del vivo interesse di Stefàno per una società che si occupa di bigliettazione e che mi ha invitato a incontrare più volte. Più che di dirigenti da cacciare lui, e non solo lui, mi ha parlato di giovani da promuovere. Velocemente. Nomi noti. Sempre i soliti”

E per Stefàno potrebbe scattare l’esposto in Procura.

Chi è Bruno Rota, ex dg di Atac

Ma chi è Bruno Rota, l’uomo che ha provato ad affrontare il “problema Atac”?

È un manager di lunga esperienza e grande professionalità, non nuovo nell’occuparsi di aziende di trasporto. A Milano ha fatto viaggiare milioni di passeggeri per l’Expo e chiuso il bilancio 2016 dell’Atm a 38,8 milioni di euro, con un +50,6% rispetto all’anno precedente.

A Roma, dove è approdato quattro mesi fa come direttore generale dell’Atac, per tentare di salvare un sistema al collasso, non è riuscito ad avere buoni risultati. Forse perché la sua linea del rigore ha incontrato troppi veleni e resistenze, troppe regole non rispettate. Forse, infine, perché è mancato l’appoggio in atti concreti di cui pure ha parlato alla stampa.

Per i romani, però, resta un dubbio importante: forse quell’uomo, quel manager, poteva far funzionare un po’ meglio i trasporti della capitale. E invece quella possibilità è sfumata, lasciando solo un ennesimo capitolo di addii e polemiche, oltre che di immobilismo, nelle cronache del mandato Raggi.

Federica Macchia