Cosa sarebbe stato di Andy Murray se non ci fossero stati gli altri tre? Se non avesse dovuto, per raggiungere i suoi traguardi sportivi, affrontare costantemente, talvolta anche uno dietro l’altro, Novak Djokovic, Roger Federer e Rafael Nadal? Domanda retorica senza risposta. Per anni è rimasto il “fab 4” meno “fab”, ma se invertiamo la prospettiva, non si può che ringraziare di essere vissuti in un’epoca dove Andy Murray, fortissimo tennista, non ha avuto vita facile. Questo significa essere costantemente proiettati in un tennis al limite, incerto, emozionante, in cui lo scozzese ha dato tutto per potersi aggiudicare una fetta della torta del migliore di sempre. E, a 33 anni appena compiuti, Andy può guardarsi indietro orgoglioso, tra dolore fisico ed emotivo, con la consapevolezza di aver fatto tanto per questo sport. Un esempio? Vincere due Olimpiadi di seguito, come mai nessun altro nella storia.

Il giovane Murray

Non si può dire che Murray abbia la capacità di gestire le proprie emozioni in campo come altri grandi del tennis, ma questo forse l’ha portato ad essere visto in maniera più umana, una figura in cui è più facile immedesimarsi. Sempre sull’orlo dello scatto nervoso, talvolta lacrimante nei momenti negativi dei match, Andy tira fuori molto mentre colpisce quella palla gialla col suo fantastico rovescio bimane. C’è chi considera la sua personalità legata ad uno spettro del passato, un episodio sconvolgente per un piccolo Andy di 9 anni che, insieme al fratello Jamie, è testimone di un massacro nella sua scuola elementare. Un folle toglie la vita a 16 bambini ed un’insegnante, mentre i fratelli Murray riescono a nascondersi e a salvarsi. Sicuramente, un momento traumatico nella vita del britannico.

Andy Murray con Djokovic
Andy Murray abbraccia Novak Djokovic dopo la finale di Wimbledon 2013
Credits: Wimbledon.com

A 12 anni è già campione dell’Orange Bowl di categoria. A 18, agli Us Open Juniores si regala il primo titolo importante contro quel coetaneo serbo, Novak Djokovic, più giovane di lui di una settimana, che sarà una costante nella sua vita. I due, infatti, si ostacoleranno a vicenda molte volte in futuro, ma la competizione non impedirà loro di diventare amici. Il titolo americano gli regala una convocazione in Coppa Davis, è il più giovane di sempre per la Gran Bretagna.

A un passo dallo Slam

Nel 2006 arriva il primo titolo ATP in California, a San Josè ed un’inaspettata vittoria a Cincinnati su Roger Federer, reduce da 55 vittorie di fila sul cemento. Inizia la vorticosa scalata di Murray, che tenta di sfondare nel tennis attorniato da quei micidiali Nadal, Federer e Djokovic che spesso lo hanno bloccato sul più bello. La vittoria su Nadal arriva agli Us Open 2008, anno in cui Andy centra la prima finale Slam. Tuttavia, si mette in mezzo un altro “fab 4” nell’atto conclusivo: Federer.

Così, prosegue la vita agonistica di Murray, a cui non manca nulla per sfondare, non c’è un colpo che non sappia giocare, anche se spesso si rintana a fondocampo e non mette in scena quel tanto in più che possa sorprendere l’avversario. Ma le doti ci sono, è questione di saperle gestire al meglio. Così, dopo due finali di seguito perse agli Australian Open, nel 2010 contro Federer e nel 2011 contro Djokovic, chiede aiuto al cecoslovacco Ivan Lendl. Il nuovo coach non ha dubbi sul suo giocatore: “Se arrivi a una finale Slam, hai i mezzi anche per vincerla”.

La scalata di Murray: finalmente Wimbledon

Nel 2012 arriva la finale di Wimbledon, ma Roger blocca i sogni infiniti del britannico in quattro set. Murray piange, non si nasconde, la vittoria sull’erba inglese è ciò che più brama. Ma Lendl ci crede e sa. Come una premonizione, infatti, passa un mese e Murray si aggiudica l’oro delle Olimpiadi di Londra, sugli stessi campi di Wimbledon e sempre contro Federer. Una rivincita che segnala altro, un nuovo inizio. Ed, infatti, il taboo delle finali slam perse si infrange: gli Us Open 2012 sono suoi, dopo una finale lunghissima di 4 ore e 54 minuti contro Nole. Sembra tutto perfetto, eppure non c’è nulla di scontato: Murray continua a convivere con dolori cronici all’anca e alla schiena.

Nel 2013 si infortuna a Roma, quindi salta il resto della stagione su terra per riprendersi. E il suo corpo lo ringrazia, Andy si riprende ed arriva alla finale di Wimbledon 2013. E, con gli occhi puntati dei suoi fan per i quali ormai è un eroe nazionale, il 7 luglio si prende la vittoria tanto desiderata. Incredibile pensare che abbia disputato tutte le sue finali slam contro Federer o Djokovic.

Murray vince l’oro a Rio de Janeiro
Credits: Getty Images\ IanMacNicol

Gli ultimi anni: un 2016 meraviglioso

Dopo essersi separato da Lendl, coach che lo ha spronato a non risparmiarsi e ad essere più dinamico, le difficoltà per Murray sono tante, tra cui la prima operazione alla schiena. Nel 2014 esce dalla top ten. Ricominciano le finali perse: nel 2015 e nel 2016 lascia gli Australian Open a Novak Djokovic. Così come la sua prima possibilità di vittoria sulla terra rossa del Roland Garros sfuma contro lo stesso avversario. Ma il ritorno con Lendl lo rinfranca e la stessa magia di qualche anno prima si ripete: si riprende Wimbledon, vince l’oro alle Olimpiadi di Rio de Janeiro. Finisce l’anno con il titolo delle ATP Finals e primo del mondo. Sembra incredibile, ma Murray ce l’ha fatta, again.

Peccato che oltre ai “nemici” esterni, ci siano anche quei continui infortuni a costringerlo a fermarsi sempre più spesso e a rinunciare a tornei importanti, ma il tennis non è solo uno sport per lui, è molto di più. nel 2018 si opera all’anca, ma nel primo tentativo di rientro è una caviglia a dargli noia. A gennaio 2019 ha annunciato il ritiro: troppo dolore, troppa pressione. Di nuovo un’operazione, stavolta per evitare la sostituzione dell’anca stessa. Tuttavia, vediamo Murray rientrare nonostante tutto e vincere il torneo del Queen’s in doppio con Feliciano Lopez. Si prende anche il suo 46esimo titolo ATP vincendo l’European Open.

In quest’anno, nel periodo di pausa forzato vissuto da tutti i tennisti, sicuramente Murray è stato tenuto impegnato dai suoi tre piccoli figli. Auguri a Murray, l’eroe sfortunato.