Auschwitz – Birkenau – #MetropolitanTravels ritorna, questa volta per raccontarvi di un viaggio che personalmente mi ha segnato, mi ha cambiato, ha reso i miei occhi più fragili, la mia anima più ribelle, la mia realtà più instabile e forte, conosci quella sensazione strana in bilico tra storia e presente? Quel binomio che oscilla tra il bianco ed il nero e una bipolarità assente senza sfumature? Oggi vi racconterò un viaggio che segnerà ognuno di voi, nel caso sceglieste di andarci: Auschwitz-Birkenau.

Auschwitz – Birkenau. Sono passati 25 giorni da quando sono tornata dal viaggio in Polonia, e sono passate più di tre settimane per riuscire a fermarmi e voler raccontare al mio mondo cosa ho visto, cosa sono riuscita a toccare con le mani invisibili, assaporando il silenzio di una storia che ci portiamo addosso senza saperlo, sono passati 25 giorni per me, 70 anni per il mondo e mai per chi ha perso la speranza, i colori della vita o la possibilità di sognare a sorridere.

Oggi non vi racconterò un viaggio qualunque, forse qualche sensazione che mi porto ancora addosso e che probabilmente racconterò per sempre, perché io ci sono stata, perché io ho calpestato quella terra, ho annusato quegli odori che non se ne sono mai andati, perché io ho visto cosa è successo, sono riuscita a non spegnere mai il cuore, a non chiudere mai le mani e a non abbassare mai la testa. Oggi vi parlerò di emozioni che mi sono entrate fino allo stomaco, rimbalzando dal cuore, senza nessun filtro e nessuna maschera. La storia ci ha insegnato tanto: la crudeltà e la vigliaccheria dell’uomo che forse non è mai cambiato.

Auschwitz oggi è un museo nel quale si racconta una storia senza tempo, “il rispetto di un guanto bianco che raccoglie una margherita in un campo innevato”. Appena entri, senti subito quel ticchettio di orologio senza suono, inizierai a rotolare dentro una bolla senza freni e non avrai paura di sbattere, perché sai che non ti farai male, indosserai il colore della consapevolezza in quel grigio cielo al sud della Polonia. 

Tutto è rimasto intatto, uguale a 70 anni fa. Cammini tra le stanze senza fiato e senti che l’ossigeno, in quel preciso istante, non ti serve. Non ti serve assolutamente niente li dentro, inizi a scrivere un diario pieno di sensazioni, emozioni, colori e odori che custodirai dentro, nel tuo silenzio pieno di coraggio. Consiglio di andare, perché è forte, vero e ti emoziona in una maniera indefinita, senza mai precedenti.

Esci da li che probabilmente rimarrai in silenzio per un paio di ore, forse con il peso della storia addosso che non è per tutti i bagagli,; in pochi potranno raccontare di aver toccato con mano l’atrocità del passato, la  follia umana e forse il sorriso di chi ce l’ha fatta. 

Il mio obiettivo futuro sarà quello di poter incontrare qualcuno che è riuscito a scampare a quell’incubo, chi è scappato, pensare follemente di poter incontrare il bambino che oggi anziano, porta addosso la cicatrice più grande della sua vita, il campo di concentramento più grande della storia che ha tenuto unite anime legate dallo stesso destino, e respirare proprio questo in un posto che ha raccolto solo la morte, è quella sensazione bipolare che vi stavo raccontando all’inizio: l’amore tra persone legate dallo stesso fato, abbracciate tra loro completamente nudi e colorate dalle loro anime. Storie stroncate che senza saperlo, oggi raccontano quell’infinito in grado di fermare il mondo.

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Alessia Spensierato