Esce oggi su Netflix “Suburra – La serie”, l’attrice rivelazione della storia criminale è Barbara Chichiarelli, al suo debutto sugli schermi si racconta e ci parla della sua Livia Adami.

Rompiamo il ghiaccio con una domanda semplicissima: chi sei? Chi è Barbara Chichiarelli?

Wow! Ti sembra una domanda semplice questa? Chi è Barbara Chichiarelli? Una ragazza entusiasta della vita e del lavoro che fa. Vengo da un percorso di studi classici; l’università non l’ho finita perché a tre esami dalla laurea in arti e scienze dello spettacolo è capitato uno spettacolo teatrale amatoriale, molto importante per me, frutto di un laboratorio finanziato dal Comune di Roma. Uno spettacolo che mi ha cambiato la vita: se prima il teatro e la recitazione erano relegati ad hobby, dopo qualcosa cambiò, decisi di lasciare tutto e iniziare a studiare recitazione. Da lì un’accademia teatrale per due anni dove ho appreso le regole basilari del teatro: rigore, precisione e puntualità. Poi c’è stata la Silvio D’Amico, sono entrata a 25 anni, facendo il provino senza sperarci minimamente vista l’età, invece andò bene alla prima. Poi tanto teatro e infine è arrivata Suburra.

Come ti sei trovata a passare dal recitare per l’ultima fila, come si fa a teatro, a una recitazione più intima davanti alla macchina da presa? 

È molto diverso sia il mezzo che il tipo di linguaggio. Io, forse, come tanti altri, sono stata agevolata in questo passaggio perché vengo da un ambiente, come quello del teatro, che è molto severo, ci sono delle regole: la puntualità e l’ordine, sia mentale che fisico. Quindi ricordarsi sempre quello che fai e come lo fai, fondamentale tanto a teatro quanto nel cinema. Chiaramente è un mondo completamente diverso, questo tipo di set poi era enorme ed è durato sei mesi, durante i quali ho visto tanti passaggi, non solo miei ma di tutta la troupe. La difficoltà maggiore è stata mantenere la lucidità rispetto all’arco temporale del personaggio: non andando in ordine cronologico, dovevi ricordarti cosa avevi girato il mese prima. Chiaramente io su carta avevo studiato e pensato a un’evoluzione del personaggio, però poi la sfida è stata far coincidere quest’evoluzione con le tempistiche delle riprese, il che vuol dire mandare in stand-by un emozione per riprenderla quattro mesi dopo.  Per il resto sono talmente tanti anni che si dice che gli attori di teatro non si possono vedere al cinema perché sono dei tromboni: facendo la tara a questa vox populi, ho cercato di fare un lavoro sulla voce, sull’espressività, perché stai davanti a un mezzo che amplifica al duecento per cento quello che fai quindi devi stare attento a come reagisci alle cose che ti succedono. Non serve esagerare, ecco.

Quindi togliendo questa difficoltà che secondo me non hai subito più di tanto, la vita da set com’è? ti è piaciuta?

Mi è piaciuta molto, ci sono altre regole, io sono abituata al “tutti fanno tutto” del teatro mentre lì ognuno ha il suo compito quindi ho avuto difficoltà, stranamente, nel farmi coccolare: chi ti porta il pranzo, chi ti accompagna in macchina, chi ti aiuta a vestirti… Facevo sempre tutto da sola, non sapendo che ci sono delle gerarchie e dei ruoli ben precisi. Ma è stata una piacevole scoperta.

Barbara Chichiarelli è Livia Adami in Suburra – La serie (PHOTO CREDITS: Netflix)

Parlami di Livia Adami, qual’è il suo personaggio e il ruolo che occupa nella vicenda?

Livia, come è stata già definita, è una donna cazzuta: è la sorella di Aureliano “Numero 8”, interagisce principalmente con lui e il padre, si ritrova in questa famiglia in cui è l’unica donna perché la mamma è scomparsa, diciamo, alla nascita del fratello quindi anche lei cresciuta senza mamma. Investita poi volontariamente/involontariamente negli anni sia nel ruolo di sorella che di “moglie” e di “madre”. È una donna che si prende quest’onere e lo porta avanti, tralascia quelle che sono le sue ambizioni, i suoi desideri per gestire, stare dietro ed accudire questi due uomini che tra l’altro si odiano tra loro: è la mediatrice, è colei che poi tira le somme di quello che succede.

Livia è stata definita una leonessa temibile e violenta, un animale criminale. Quanto c’è di Barbara in Livia? Il suo carattere ti appartiene? 

Beh guarda, io tendo sempre a non problematizzare troppo quello che faccio, porto le cose a me. quindi in verità non so quanto ci sia di Barbara, cioè c’è molto di Barbara ma come in tutti i lavori che faccio perché non saprei fare in altro modo: cerco sempre di scostarmi da chi sono e di andare verso il personaggio ma poi il personaggio è fatto di me. Ognuno di noi è un ventaglio di colori, di possibilità e io cerco solo di prendere da me quelle che siano le più giuste per quel personaggio. Per Livia sono andata ad attingere a quella che è la mia esperienza personale, avendo io due sorelle più piccole so cosa vuol dire essere una sorella maggiore, come ci si sente, come si trattano anche i fratelli minori che è un misto tra severità e compassione. Quindi sì, sono andata ad attingere dalla mia vita privata e in questo senso c’è molto di Barbara, poi questa cosa l’ho sublimata. Per me poi fa molto il vestito, non mi vestirei mai come Livia, ma mettendo i suoi abiti sono entrata nel gioco e sono stata agita da tutto il contorno che erano vestiti, accessori e quant’altro.

È seriamente possibile essere d’accordo col pensiero del personaggio? Più che l’immedesimazione, la ragione. Quali sono le ragioni che hai trovato in Livia?

Ho condiviso gran parte di quello che Livia ha fatto, non so come dire, ho condiviso le sue ragioni perché vedevo il suo punto di vista. Forse più che immedesimarsi c’è da prendere un punto di vista molto chiaro nelle cose, ma questo in generale nella vita. Vado avanti per obiettivi ogni volta quando recito, quindi gli obiettivi e le ragioni di Livia li ho condivisi in pieno, non giudicando il mondo in cui lei vive o da dove parte, poste le basi ho condiviso appieno le sue azioni.

La serie parla di Mafia capitale. Ti è mai capitato di assistere ad episodi di criminalità? O di venire a contatto con famiglie come quella del tuo personaggio?

Credo che a Roma si respiri questa cosa da sempre. Io non ho avuto mai contatti di questo tipo, soprattutto a Ostia, non la conosco se non per qualche volta in cui sono stata al mare, come fanno tutti. I meccanismi di Ostia non li conosco ma posso immaginarli, perché qualsiasi città che sta sul mare è soggetta ad essere un’alcova, un posto di scambi, di affari… Per quanto riguarda Roma ci sono delle zone in cui tu sai che accadono delle cose, vederle praticamente non le ho mai viste però le so come le sanno tutti, le respiri queste atmosfere purtroppo.

Backstage delle riprese di Suburra – La serie (PHOTO CREDITS: Netflix)

Suburra è la prima serie targata Netflix Italia. A Cannes c’è stato un gran discutere riguardo una proiezione di Netflix, come se il grande cinema non potesse essere affiancato/paragonato all’home-video; a Venezia invece Netflix ha ricevuto la benedizione del direttore artistico della mostra. Tu cosa ne pensi?

Credo che finché le cose rimangano distinte non ci sia nessun problema, abbiamo la tendenza ultimamente in tutto a fluidificare, distruggere barriere, far di tutta l’erba un fascio, ma in generale, non solo nel cinema, una cosa molto sbagliata secondo me ed è un meccanismo che bisogna arginare. Netflix è una grande piattaforma che propone un certo tipo di prodotti e il cinema d’autore è un’altra cosa, i documentari… Ecco, vorrei che non si confondessero i piani perché secondo me non ha senso. Sicuramente sta cambiando il tipo di fruizione di qualsiasi materiale video, non so se saremo destinati a vedere il cinema morire (il cinema inteso come edificio non come mezzo espressivo), come magari sono morte le videoteche: non abbiamo più bisogno di andare fisicamente ad affittare un film.

Credo che tutto quello che porta fuori, che porta ad uscire da casa, sia qualcosa di positivo: andando al cinema o tornando da teatro c’è quel lasso di tempo in cui si può parlare, ragionare; è comunque un andare verso l’incontro. Tutto quello che si fa a casa è destinato a rimanere lì, non lo vedo come uno scambio reale.

Sul web comunque si interagisce, c’è uno scambio anche stando a casa.

Certo, è un altro tipo di relazione, io sono più vecchio stile in questo, sono più da cinema, da arene e da teatro quindi ancora faccio un po’ difficoltà… una mia idea personale nel trovare un valore aggiunto nell’uscire di casa.

Quindi non c’è una serie alla quale sei appassionata?

Non sono stata molto spettatrice quest’anno per motivi banalmente di lavoro, l’unico momento in cui potevo usufruirne era la sera ed ero sempre molto stanca. Ho finito di vedere Black Mirror che è una serie che mi è piaciuta molto e ho iniziato Narcos… Per il resto c’è tantissima scelta, la mia paura rispetto al lavoro che ho fatto io, dato che c’è questa scelta enorme, è che uno possa anche cambiare facilmente, il rischio è che vedi dieci minuti di una qualsiasi cosa, ti annoi e cambi.

Ma poi vedono te e non cambiano più.

Questo è chiaro, ah ah ah! Bisogna vedere nel minutaggio quando arrivo.

Progetti futuri? Dove ti rivedremo?

Nello spettacolo “Il libro di Giobbe” di Pietro Babina, in scena a Bologna all’Arena del sole dal 13 Ottobre, da dove partirà una breve tournèè. Poi a Maggio, dopo la vincita del Premio Ubu, riportiamo in scena “Santa Estasi-Atridi: otto ritratti di famiglia” al Piccolo di Milano con la regia di Antonio Latella.

Chi ti piacerebbe interpretare? Con chi vorresti lavorare?

Mi piacerebbe reinterpretare tutti i film in cui ha recitato Cate Blanchett perché sono tutti ruoli stupendi. Sarei molto curiosa di lavorare con Sorrentino perché mi sono arrivate voci di corridoio da maestranze e attori che ci hanno lavorato, pare sia una persona molto particolare, spirituale, che ispiri autorevolezza, quindi ti chiedi: “ma com’è poi veramente?” Mi piacerebbe lavorare da morire anche con Garrone, per me è un figo Garrone.

L’ultima domanda è marzulliana: fatti una domanda e datti una risposta. C’è qualcosa che ti preme comunicare? Puoi dire quello che vuoi.

Ciao Mamma! Ah ah ah! No, guarda, io ogni mattina mi sveglio e penso che sono proprio fortunata e mi diverto proprio tanto a fare questo lavoro, ma tantissimo, per tanti motivi; banalmente sento i miei amici che fanno tutt’altro tipo di lavoro e che hanno problemi con il capo… E io penso: ma io non avrò mai un capo, cioè avrò sempre un capo diverso, che sia un regista, una produzione… Quest’idea di poter cambiare continuamente, cambiare ruolo, cambiare città, cambiare colleghi, cambiare progetto: questa è una cosa che mi fa sentire veramente fortunata e penso che non mi annoierà mai. C’era questa frase che diceva: “Trova quello che ti piace fare e chi ti paga per farlo” ecco, io penso che l’ho trovato e spero di poterlo continuare a fare altrimenti ci si reinventa perché la vita è meravigliosa e io sono pronta reinventarmi, come ho sempre fatto.

Barbara Chichiarelli all’anteprima di Suburra – La serie (PHOTO CREDITS: Netflix)