Tanto talento, difesa solida, mix di veterani e giovani, un semidio che si prepara a varcare le porte dell’Olimpo. Sarà l’anno in cui i Bucks riporteranno il titolo a Milwaukee?
Pochi dati riferiti alla scorsa stagione dei Bucks bastano a far capire che tipo di squadra sia quella allenata da Mike Budenholzer: squadra con il miglior record stagionale (60-22. Il migliore da 38 anni), quarto miglior attacco (113.5 di OffRtg), migliore difesa (104.9 di DefRtg), squadra con il più ampio scarto di punti a partita (+8.6 di NetRtg), miglior giocatore della Lega. In poche parole, la migliore squadra della scorsa regular season. Già, della regular season e non dell’intera stagione, perché, come sappiamo, i Cervi non sono riusciti a superare lo scoglio Toronto Raptors, laureatisi poi campioni NBA. Come deve andare la stagione affiché i Bucks tornino ad alzare il Larry O’Brien Trophy?
Confermarsi per migliorare
Difficile migliorare un’annata come quella passata, ma non impossibile, soprattutto se ti ritrovi in squadra un giocatore che non fa altro che migliorarsi da quando è arrivato negli Stati Uniti. Sì, perché Giannis Antetokounmpo avrebbe potuto benissimo vincere il premio come giocatore più migliorato dell’anno ogni stagione (premio comunque ottenuto nel 2017). E attorno a lui – come suole accadere quando si parla di grandi campioni – è migliorata tutta la squadra.
L’effetto Greek Freak ha avuto conseguenze in tutta la franchigia e, in generale, su tutta la città. Adesso persino Milwaukee (non esattamente Los Angeles o New York) è diventata meta interessante per i giocatori in giro per la Lega. Ma ancora manca qualcosa per aggiungere importanti capitoli ai libri della storia del gioco.
Un passo importante la prossima stagione è sicuramente quello di confermare quella solidità individuale e di squadra che ha caratterizzato la passata annata dei Bucks. Rispetto all’anno scorso non è cambiato moltissimo: la free agency ha fatto perdere un pezzo importante come Malcom Brogdon (sacrificio necessario per poter rifirmare la maggior parte dei free agent in squadra) e Nikola Mirotic. A sostituzione (più o meno) sono stati firmati Wesley Matthews e Kyle Korver (guardie veterane dal tiro affidabile), il fratello di Brook Lopez, Robin, e il fratello di Giannis, Thanasis. Rimane però lo zoccolo duro della squadra, con Giannino a illuminare la via.
Ascesa verso l’Olimpo
Non ha ucciso l’Idra di Lerna né sconfitto il toro di Creta o soffocato il leone di Nemea, ma Giannis Antetokounmpo, così come il mitologico Eracle, sta portando a compimento le sue personali “dodici fatiche”. Se si pensa che una decina di anni l’MVP 2019 fa era sulle strade di Atene a vendere scarpe tarocche, la storia di Giannis non si distaccherebbe troppo da un poema omerico.
C’è il tema del viaggio (i genitori sono immigrati nigeriani), quello del coraggio, della perseveranza, del sacrificio, della lotta. Quello che ha attraversato questo ragazzo è stata tutto fuorché una strada in discesa. È pur vero però che la natura gli ha praticamente messo a disposizione una struttura corporea apposita per essere una devastante arma da pallacanestro. Non è tanto normale che un giocatore alto 211 cm con 110 kg di peso faccia cose del genere.
Non a caso è chiamato The Greek Freak. Questo però non deve deviarci dal lavoro fatto che da quando è arrivato in NBA Giannis abbia lavorato duramente in palestra, al limite dell’abnegazione. Conscio del fatto che avesse delle basi fisiche e tecniche potenzialmente importanti ma ancora acerbe e da sviluppare, ha lavorato di anno in anno su qualsiasi tipo di fondamentale: dal ball handling al gioco in post, dalle abilità in attacco a quelle in difesa passando per quelle da passatore.
Il risultato? Un androide quasi immarcabile da chiunque, che riesce a battere i lunghi con le sue abilità in palleggio e i difensori più piccoli con la sua strapotenza fisica. La sua straordinaria mobilità e prestanza fisica inoltre gli permettono di difendere praticamente su tutti e cinque i ruoli. E questa sua completezza è testimoniata dal fatto che il greco è stato l’unico interprete del gioco a essere presente nella stessa stagione nella top 20 delle cinque le voci statistiche principali (punti, rimbalzi, assist, stoppate e palle recuperate).
Un dato che ha dell’incredibile. Già dopo quella stagione era chiaro a tutti che la stella di Antetokounmpo si sarebbe in poco tempo levata alta, sopra di tutti. E così è stato l’anno scorso, quando a fronte di una regular season perfetta, riceve il premio di Most Valutable Player, strappandolo a un Harden – reduce da una delle migliori stagioni offensive della storia – e arrivando vicino a Rudy Gobert nelle votazioni come miglior difensore dell’anno. Il prossimo obiettivo, ciò che serve a un semidio per diventare un dio, è quello di vincere il titolo. Ma per farlo avrà anche bisogno d’aiuto.
Fear the Deer
Certo, non avrà Kyrie o Davis o George, ma attorno a Giannis Antetokounmpo si forma un quintetto che tra attacco e difesa trova un equilibrio perfetto. Simbolo di quest’ambivalenza è senza dubbio il vero secondo violino di Giannis, ovvero Khris Middleton. L’ala ex Detroit è un ottimo tiratore e un buonissimo difensore, oltre che un buon passatore e rimbalzista. L’anno scorso si è tolto la soddisfazione di essere stato incluso per la prima tra gli All-star nel match delle stelle. I Bucks hanno sacrificato tanto per rifirmarlo quest’estate (per lui un quinquennale importante da 178 milioni) e sperano che la fiducia venga ben ripagata.
Altro 2-way player che quest’anno ha dimostrato grandi cose è il play della squadra, Eric Bledsoe. Il prodotto di Kentucky viene dalla sua migliore stagione difensiva. Grande merito del fatto che i Buck siano la miglior difesa della scorsa stagione va a lui. Non a caso è stato inserito nel primo quintetto difensivo NBA insieme al compagno di squadra Antetokounmpo. Sebbene non sia un passatore molto prolifico (5.5 assist a partita per una point guard non sono tanti), Bledsoe ha doti di playmaking sopra la media. Se quest’anno mantiene una migliore costanza offensiva (soprattutto ai playoff), può permettere ai Bucks di fare il definitivo salto di qualità.
Se si parla di giocatori migliorati, non si può non fare riferimento al centro titolare della suadra, Brook Lopez. Il fratello di Robin è uno dei centri NBA con le mani più educate; tira bene dalla media, tira bene i liberi e soprattutto tira bene dall’arco. Tra i big man, infatti, è quello che ha messo più triple la scorsa stagione, nonché il terzo per stoppate.
Dato, quest’ultimo, che ha un po’ stupito tutti l’anno scorso, in quanto l’ex Nets ha quasi raddoppiato le stoppate rispetto alla stagione prima. Certo, non lo si può considerare ancora un difensore d’elite á la Gobert, ma i miglioramenti negli ultimi anni di questo giocatore sono stati significativi. Meno che nei rimbalzi, fondamentale in cui, complice il suo poco atletismo, non ha mai veramente saputo imporsi. Anche lui è chiamato a fare un salto di qualità in postseason.
Road to the Finals
Si è parlato di giocatori migliorati negli anni. La cosa non stupisce se sono inseriti in una squadra che negli ultimi due anni ha fatto enormi passi avanti. Oltre a essere passati da 44 vittorie nel 2018 alle 60 del 2019, la squadra di Budenholzer è migliorata in vari aspetti. È passata dall’essere la quinta squadra per stoppate alla seconda (soprattutto grazie a Brook Lopez); se nel 2018 i Bucks erano 27esimi per triple segnate, lo scorso anno ne hanno messe 400 in più diventando la seconda squadra più prolifica dall’arco (dietro i bombaroli di Houston); da un estremo all’altro alla voce “rimbalzi”, che sono 800 in più rispetto all’anno prima, che li fanno passare dall’essere la squadra peggiore sotto canestro all’essere quella che ne ha presi più di tutti. “Board man gets paid” direbbe qualcuno.
A portare esperienza ed energia ci penserà una panchina composta da veterani come Hill, Korver, Ilyasova e Robin Lopez e giovani come Cannaughton, D.J. Wilson, Sterling Brown e Thanasis Antetokounmpo. Senza dimenticare il direttore d’orchestra, Mike Budenholzer, fresco vincitore del premio come miglior allenatore dell’anno. Si tratta del secondo riconoscimento di una carriera che aspetta e merita un titolo NBA da head coach (4 i trofei alzati nel ruolo di vice di Pop agli Spurs).
In teoria la squadra ha tutte le carte in regola per andare fino in fondo, ma ci sono ancora alcuni angoli da smussare, o meglio, da acuire. Perché arrivati alle partite che contano in postseason alcuni dei giocatori chiave peccano di poca cattiveria. È vero, non sono tante le apparizioni ai playoff di molti componenti del roster e l’esperienza manca, ma già la sconfitta in finale di conference l’anno scorso può insegnare qualcosa.
La fame d’altronde non manca e il talento anche. A est, data l’assenza di Kevin Durant, la rivale principale dei Bucks è Philadelphia; a ovest il discorso è più complesso, ma possono arrivare tante sorprese. L’obiettivo dopotutto è quello, arrivare alle NBA Finals e provare a fare la storia.