Dopo anni di tanking, sconfitte e delusioni, i Sixers sono pronti a portare a coronamento il “processo” che dura ormai da sette anni.
Dopo l’era Iverson e le finali del 2001 la franchigia della Pennsylvania ha attraversato anni di autentico purgatorio. Tra scelte sciagurate e anche una buona dose di sfortuna (vedasi alla voce “storico degli infortuni”), ai tifosi dei Sixers è stato chiesto di avere tanta pazienza. Emblema di questa condizione negli ultimi anni è stato Sam Hinkie e il mantra “Trust the process”. Il piano di Hinkie era semplice: indebolire la squadra, perdere quante più partite possibili e arrivare alti nella Draft lottery per assicurarsi le prime scelte.
Tra tanking sfrenato e processo di ricostruzione per le strade della città dell’amore fraterno sono passati bust come Andrew Bynum, meteore bruciatesi troppo presto come Michael Carter Williams e giocatori in grado di cambiare il destino di una franchigia come Joel Embiid. Quest’ultimo insieme alla prima scelta al draft del 2016, Ben Simmons, dopo essere stato fermo un anno ai box ha saputo risollevare i Sixers e riportarli ai vertici della Eastern Conference.
Due terzi posti consecutivi in regular season e le semifinali di conference però a questo punto non bastano più a Filadelfia, e quest’anno sono chiamati a fare il definitivo salto di qualità. E l’obiettivo adesso è reale, perché quella a disposizione di Brett Brown è una squadra altamente competitiva e uno dei quintetti potenzialmente migliori della Lega.
The Process
Fino a 15 anni nemmeno giocava a pallacanestro. Era il calcio la sua passione. Poi vide alcuni filmati di Hakeem Olajuwon e qualcosa nella sua testa scattò. Vedere dominare quell’atleta, alto come lui, africano come lui, guardarlo danzare sulle punte mandando al bar gente come David Robinson e Patrick Ewing gli fece decidere che anche lui sarebbe arrivato a quei livelli. Joel Embiid, centro camerunese di 218 centimetri non ha ancora scritto le pagine di basket che ha scritto “The Dream”, ma la pasta di cui è fatto è quella.
Abilità in post, morbidezza delle mani, alto QI cestistico, l’atletismo, abilità in difesa, dominio a rimbalzo. Tutte queste sono caratteristiche che come appartenevano a Olajuwon appartengono a Embiid. Certo, non si è vista finora la capacità di trascinare la propria squadra verso un anello, ma il tempo è dalla parte di Joelone. A 25 anni è già considerato uno dei migliori centri del gioco, e nel suo futuro molti leggono uno o più campionati NBA.
Gli infortuni sono l’unica cosa che lo limitano veramente. Già prima di essere selezionato al draft del 2014 una frattura al piede ha condizionato la sua carriera. La scelta da parte dei Sixers di spendere la terza chiamata per lui è stata una vera scommessa. Fiducia che Embiid sembra stare ripagando, entrando a pieno nella filosofia di Philadelphia addossandosi la responsabilità per il successo futuro della franchigia.
Ai microfoni del Media Day del 30 settembre ha dichiarato di aver perso 9 chili durante l’estate e che tra gli obiettivi personali ha quello di diventare MVP o miglior difensore dell’anno. Ad aiutarlo, al suo fianco ci sarà un giovane canguro pronto, anche lui, a una stagione di definitiva consacrazione.
Big Ben
Dopo aver dovuto saltare tutta la prima stagione a causa di un infortunio al piede destro, Ben ha avuto fretta di fare tutto quello che non era potuto riuscire a fare. È stato infatti il rookie più veloce – insieme a Oscar Robertson e Art Williams – a realizzare una tripla doppia (dopo quattro partite), il terzo rookie della storia a far registrare almeno 1000 punti, 500 rimbalzi e 500 assist e il secondo più veloce giocatore della storia a mettere a referto almeno 2000 punti, 1000 rimbalzi e 1000 assist.
Numeri da predestinato, da giocatore fuori dal comune, da fenomeno. Eppure Simmons, da quando è arrivato in NBA ha visto piovere su di sé una valanga di insulti e critiche, nessuno di questi pienamente giustificati. I primi riguardanti il fatto che un giocatore, nonostante non abbia mai giocato una partita, non debba dover essere considerato un rookie e ambire al ROTY (premio che ha vinto nel 2018 durante il suo anno, teoricamente, da sophomore). Le seconde per la mancanza (quasi) totale di un jump shot, fondamentale di grandissima importanza nel basket di questi anni.
Sì, perché nonostante Simmons trasudi talento da ogni dove, non ha mai sviluppato un tiro affidabile. Solo 18 i tentativi dall’arco nelle due stagioni NBA e nessuna messa a segno. A settembre aveva dichiarato che quest’anno avrebbe tirato di più, in estate ha cercato di lavorare in palestra da questo punto di vista e il risultato si è visto. La scorsa settimana, nella partita di preseason contro il Guangzhou Long Lions Simmons ha segnato la sua prima tripla in maglia Sixers. Il traguardo è stato celebrato da pubblico e compagni come avesse messo un tiro decisivo in una finale NBA (qui il video).
L’australiano fin qui ha fatto vedere solo una parte di ciò che è realmente capace. Non dico che tirerà con continuità da tre, ma alla sua terza stagione NBA potrebbe aver acquisito quella maturità in più per portare il suo gioco e quello della sua squadra al livello successivo.
3&D
Attorno ai due capisaldi della squadra c’è un roster di tutto rispetto, con un quintetto solido in difesa e pericoloso dall’arco. Sì, se n’è andato un pezzo da novanta come Butler, ma è stato rifirmato Tobias Harris e sono stati ingaggiati Al Horford e Josh Richardson. L’ala piccola ex Clippers negli ultimi due anni non è mai sceso sotto i 18.5 punti di media e si è imposto come una delle ali dal tiro più affidabile. La sua abilità nell’aprire il campo sicuramente giova anche al gioco di Simmons; Big Ben avrà più spazio in penetrazione e una bocca di fuoco in più da servire dietro la linea dei tre punti.
Il suo contributo difensivo non sarà alla pari di quello offensivo, ma per quello possono compensare sia Richardson che Horford. Il primo, oltre essere un ottimo tiratore, è anche un buon difensore perimetrale. Lo scorso è stato il suo miglior anno in NBA, in cui ha messo a referto 16.6 punti a partita mantenendo una percentuale del 35% dall’arco (che non è poco se si considera che tenta 6 triple a partita). Non sarà di certo il fulcro del gioco dei Sixers, ma sarà una pedina fondamentale nell’aureo scacchiere di Brown.
Unico giocatore a scendere sotto i 27 anni di età in quintetto (e anche il più anziano di tutta la squadra) è Al Horford. Il 5 volte All-Star porterà alla città di Benjamin Franklin esperienza, presenza sotto il ferro e un’arma in più al tiro. Insieme a Joel Embiid formerà la coppia di lunghi più forte della Lega, soprattutto nella propria metà campo.
Abilità dall’arco e presenza in difesa non mancano nemmeno in panchina, con i giovani Smith e Thybulle. Il primo è stata la 16esima scelta del Draft 2018 ed è reduce da un infortunio che gli ha fatto saltare praticamente tutta la stagione; il secondo è considerato uno dei migliori difensori uscenti all’ultimo Draft, al quale è stato selezionato con la 20esima chiamata. Mike Scott, Kyle O’Quinn, James Ennis e Furkan Korkmaz non sono alla loro prima stagione NBA, ma il loro contributo sarà necessario per competere.
Trust the process
Sono passati 36 anni dall’ultima volta in cui i Sixers si sono aggiudicati il titolo; questo, con il processo che sembra poter essere stato completato, potrebbe essere l’anno giusto dopo stagioni di sofferenza. Non hanno Lebron, non hanno Kawhi, non hanno Harden, non hanno Curry, ma quella di Philadelphia è una delle squadre più equilibrate su entrambi i lati del campo. Con la definitiva consacrazione dei suoi gioielli, i Sixers potrebbero inserirsi seriamente nel discorso “NBA Champions”.