Sono passati esattamente 100 anni da quando Walter Gropius fondò a Weimar la celebre scuola di architettura, arte e design.
Per l’occasione, il Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma ha organizzato un doppio appuntamento nella giornata di ieri, venerdì 15 marzo 2019.
Il pomeriggio si apre con la proiezione del film Bauhaus – Model and Myth, in collaborazione con il Goethe Institut. Girato da Niels Bolbrinker e Kerstin Sutterheim, il documentario, attraverso la testimonianza diretta degli ex studenti, ripercorre la storia dello Staatliches Bauhaus, evidenziandone obbiettivi e peculiarità.
Dopodiché, prende parola Barry Bergdoll. Professore di architettura alla Columbia University e curatore del Dipartimento di architettura e design del MoMA di New York, Bergdoll guida una Lectio Magistralis sul significato del Bauhaus.
Entrambi gli appuntamenti concorrono a presentarci un’immagine quanto più esaustiva possibile di ciò che è stata la scuola, attraverso testimonianze dirette, contestualizzazioni generali e approfondimenti specifici.
All’aprirsi del XX secolo, il mondo austriaco-tedesco stava vivendo la propria età dell’oro. Wagner aveva impressionato il mondo intero, Nietzsche aveva offerto contributi impareggiabili alla filosofia e letteratura contemporanea. Freud stava cambiando per sempre la storia della psicologia. Nello stesso momento, Klimt e Schiele entravano a far parte della schiera di artisti più celebri del pianeta.
È in questo clima di novità che nel 1919, dopo la Grande Guerra, Walter Gropius fonda il Bauhaus a Weimar. La scuola si sviluppa nel clima del Modernismo, movimento artistico nato dalle trasformazioni del mondo occidentale che, avvenute tra la fine dell’ottocento e l’inizio del secolo successivo, richiedono una nuova organizzazione sociale e architettonica per far fronte alla crescita dell’urbanizzazione.
Il Modernismo ha poi differenti peculiarità a seconda del paese di diffusione. Così, in Russia si sviluppa il Costruttivismo, in Francia opera Le Corbusier, negli Stati Uniti diventano celebri le residenze di Frank Lloyd Wright, completamente immerse nella natura. In Germania abbiamo, invece, il Bauhaus.
Fondamento essenziale della scuola di Gropius era la funzionalità: la bellezza estetica doveva unirsi all’utilizzo reale del prodotto, sia in termini di oggetti di design, sia a proposito di edifici architettonici.
Così, le case Bauhaus sono fatte su misura del cittadino contemporaneo. Tutto era geometrico ed essenziale. Economico e usufruibile dai ceti medi che popolavano queste città sempre più grandi. E all’interno delle nuove metropoli, gli edifici Bauhaus, organizzati intorno a giardini interni e logge a piano terra, assumevano la connotazione di piccole comunità, dove gli abitanti si incontravano negli spazi comuni, incoraggiando dunque le relazioni interpersonali.
Vengono utilizzati materiali nuovi, come vetro e acciaio, con la doppia conseguenza di un costo minore per spazi più ampi, resi tali dalla possibilità di aprire grandi finestre sulle pareti.
I nuovi materiali vengono utilizzati anche nella creazione di oggetti moderni, che dovevano anzitutto essere comodi e poco costosi, come la famosissima Sedia Wassily, disegnata da Marcel Breuer. La scuola vanta, oltre a Breuer, insegnanti del calibro di Kandinskij, Paul Klee e Ludwig Mies van der Rohe.
Sarà per la vicinanza al mondo dell’industria moderna e al criterio imprescindibile della funzionalità, dell’adeguarsi ai bisogni del cittadino comune, che il Bauhaus ha avuto una diffusione enorme.
Con il diffondersi dell’ideologia nazista, la sede è stata spostata da Weimar a Dessau, avvicinandosi dunque agli ambienti berlinesi.
Le continue innovazioni, unitamente al clima di libertà che si respirava dentro la scuola, hanno contribuito a forgiarne il mito.
C’erano moltissime donne, si organizzavano feste, venivano invitati musicisti jazz. Il Bauhaus era specchio completo dei tempi moderni, che esigevano libertà e pragmatismo.
E infatti, la scuola si diffonde in tutto il mondo: negli Stati Uniti, così come in Israele, dove ha contribuito allo sviluppo urbanistico di Tel Aviv, adeguandosi alle diverse realtà senza rinunciare ai propri principi.
La presa al potere di Hitler obbliga la scuola a chiudere i battenti, nel 1933. Ma il lascito del Bauhaus non si arresta con la chiusura delle sedi, e molti anni dopo architetti e design di tutto il mondo si rispecchiano ancora nei principi della scuola tedesca, che rispetto alla visione dell’arte per l’arte, propone un’arte per il sociale, realmente utilizzabile dal proprio pubblico.
Art and Technology – a New Unity
Laura Bartolini