Lo stoccaggio di tutto quel nitrato di ammonio a Beirut era ben noto alle autorità Libanesi.
Il New York Times ha ricostruito la storia
Quasi tremila tonnellate erano stoccate nel porto di Beirut, capitale del Libano, dal 2013.
La conferma avviene per mano del New York Times che negli ultimi giorni ha indagato sulle cause dell’esplosione che ha provocato la morte di più di 135 persone. La storia dietro a quello che oggi sembra essere un incidente, forse provocato da un errore durante una saldatura, parte con un mercantile russo.
Una nave carica di esplosivi
Il battello commerciale di proprietà russa a cui fa riferimento il famoso giornale americano si chiama Rhosus. Era partito dalla Georgia con un carico di quasi 3 mila tonnellate di nitrato di ammonio diretto in Mozambico. L’ordine di consegna veniva dalla banca nazionale per conto della Fábrica de Explosivos de Moçambique, la quale fa largo uso di esplosivi per la costruzione edilizia e la trivellazione mineraria.
Igor Grechushkin, armatore della nave, successivamente alla partenza della nave comunicò al capitano del battello che non disponeva della somma necessaria per compiere l’attraversamento del canale di Suez. Dunque, il ricco uomo d’affari russi, ordinò l’attracco nomentano a Beirut, nel 2013, allo scopo di raccogliere la somma necessaria per proseguire il viaggio.
Un debito da ripagare
Sfortunatamente, una volta compiuto l’attacco, la nave già vecchia di 30 anni non riuscì a soddisfare le norme per il carico dei macchinari necessari per pagare il pedaggio del canale di Suez. Fu così che le autorità portuali la requisirono dal momento che Grechushkin non riusciva a pagare nemmeno le spese portuali. Il magnate russo scomparve, l’equipaggio non venne più pagato e tutti, meno il capitano Boris Prokoshev e tre marinai tornarono a casa. Infatti, è consuetudine che il capitano rimanga a bordo della nave fino a quando il debito non è stato totalmente ripagato. Per tutto il tempo a venire Prokoshev e i suoi sottoposti furono aiutati dai funzionari portuali, i quali procurarono loro il necessario per vivere e comunicare con i loro cari, senza però (a detta del capitano) manifestare preoccupazione per il carico potenzialmente esplosivo.
La storia del capitano e dei marinai intrappolati sul mercantile russo divenne un caso mediatico in Ucraina, paese d’origine dell’equipaggio, suscitando così appelli e segnalazioni internazionali. Quando la diplomazia smise di prestare attenzione alla loro storia Prokoshev vendette parte del carburante per pagare le spese legali. Nell’agosto 2014 il tribunale stabilì che gli uomini ormani da un anno intrappolati sul battello, avevano il diritto di tornare a casa e Grechushkin fu obbligato a pagare le spese per il loro rientro.
E il nitrato di ammonio?
Una volta rientrati gli uomini restava da stabilire cosa fare del carico esplosivo. Lo studio legale che aveva patrocinato il capitano racconta che già allora aveva fatto presente che la nave “rischiava di affondare o esplodere in qualsiasi momento“. Le autorità portuali, le quali avevano ormai il monopolio del carico, decisero quindi di spostarlo nel magazzino del porto.
Nel corso degli anni diversi attivisti avevano cercato di porre l’attenzione sulla potenziale catastrofe nel cuore della capitale. Tra di loro, Salim Aoun, parlamentare libanese, aveva inviato tra il 2014 e il 2017 diverse lettere ai funzionari doganali del porto e al giudice incaricato del caso cercando di sollecitare una decisione urgente.
Il nitrato di ammonio non poteva restare immagazzinato presso il porto.
Il 5 agosto 2020 Salim Aoun ha reso pubbliche le sue missive sul suo profilo Twitter.
“Alla luce del grave pericolo rappresentato dalla conservazione di questo carico nel magazzino in un clima teso, ripetiamo la nostra richiesta all’agenzia marittima di spostare immediatamente il materiale” scrisse nel maggio del 2016 il capo dell’agenzia doganale libanese.
Non mancarono le proposte come donare il carico all’esercito o venderlo alla Società degli Esplosivi Libanese, tuttavia il tribunale non rispose a nessun appello.
Mentre le autorità libanesi non sapevano cosa fare del carico, la nave Rhosus, la cui stiva era ormai vuota, affondò nel porto di Beirut per un danno alla chiglia nel 2015.
La denuncia del direttore del porto di Beirut
All’indomani della catastrofe, Hassan Koraytem, il direttore del porto di Beirut ha pubblicamente dichiarato che “le autorità libanesi trattarono quel carico come hanno trattato la mancanza di elettricità del paese, l’acqua corrente non potabile e il problema della troppa spazzatura: litigando e sperando che il problema si risolvesse da solo“.
Una dichiarazione che conferma la narrazione attuale del Libano: un paese in crisi, corrotto e incapace di risvegliarsi dalla frattura politica ed economica nella quale si trova da anni.
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