In occasione dell’uscita per Mondadori del suo nuovo libro abbiamo fatto qualche domanda a Rosa Ventrella. Per saperne di più sul libro, leggi la recensione qui
Lei e la protagonista di “Benedetto sia il padre“, portate lo stesso nome. Quanto c’è di autobiografico nel personaggio di Rosa?
Io e la Rosa del romanzo siamo due persone diverse ma in qualche modo abbiamo respirato le stesse emozioni. In principio le avevo dato un altro nome, ma a mano a mano che andavo avanti nella storia mi sono accorta di aver provato tante sensazioni che la protagonista aveva vissuto. E’ normale quando nasci e cresci in certi quartieri che la violenza aleggi tutt’intorno, che in qualche modo attecchisca anche se non tra le mura della tua casa.
L’unico modo per perdonare un padre violento è aspettare che il tempo passi e lo vecchiaia lo indebolisca?
Non saprei dire quale possa essere la formula sempre giusta per arrivare al perdono. Il perdono forse è un’emozione troppo potente, che difficilmente può appartenerci veramente. Mi piace più pensare alla possibilità di provare compassione, di raggiungere l’indulgenza. Credo che siano percorsi personali sempre molto difficili e dolorosi, ma necessari perché senza questo processo di “guarigione” difficilmente si riesce a star bene con se stessi prima di tutto.
La violenza dei padri che le donne vivono da bambine, la portano sulla loro pelle per tutta la vita o c’è possibilità di emanciparsi dal patriarcato?
Voglio credere che ci sia sempre possibilità di emanciparsi. Anche se certe ferite restano sulla pelle e comunque entrano a far parte di noi, guidano in qualche modo i nostri passi o riaffiorano nei momenti difficili. La violenza che subisce la protagonista, per quanto solo assistita, non è meno traumatica, perché le trasmette un identikit di un modello femminile che inevitabilmente forgia i suoi pensieri, tant’è vero che finisce per reiterare gli “errori” materni legandosi a un uomo parimenti violento, come se gli errori cui abbiamo assistito, in modi indecifrabili finissero per condurci sugli stessi passi. Ma c’è sempre la possibilità di salvarsi.
Una storia di riconciliazione familiare e alla ricerca del proprio posto nel mondo
Rosa si salva quando sposa Marco e scappa da Bari o quando lascia Marco e scappa da Roma?
Senz’altro quando lascia Marco e scappa da Roma. E’ lì che avviene la riconciliazione non solo con la sua famiglia e con suo padre, ma anche con il suo passato e con le sue radici.
Lei è da sempre interessata alle tematiche sociali, alle vicende che hanno per protagonisti figure marginali, deboli. Anche in “Benedetto sia il padre”, fanno da protagonisti. Perché proprio loro?
Proprio perché più deboli, proprio perché si è portati a pensare che in quanto deboli abbiano poche chances. Anch’io mi sono sentita così da piccola, quasi invisibile, e lavoro ogni giorno con gente che viene da tutte le parti del mondo e che per gran parte della sua vita si è sentita debole e già sconfitta. Scrivo storie di gente così perché il messaggio che desidero trasmettere è il contrario di una sconfitta. I miei personaggi subiscono sempre sconfitte, perché ognuno di noi ha le sue piccole e grandi battaglie con cui convivere, ha i suoi dolori, ma le loro storie contengono sempre un messaggio di rinascita e di speranza.
Ancora una volta la Puglia è protagonista dei romanzi di Rosa Ventrella
Bari vecchia con i suoi vicoli bianchi è tra protagonisti di “Benedetto sia il padre”. Cosa pensa della trasformazione che ha avuto in questi anni diventando il cuore della movida notturna della città?
Bari vecchia è spesso protagonista delle mie storie, non si può prescindere da questo rapporto di amore/odio nei confronti del cuore più antico della città. Più di ogni altra parte, con le trasformazioni che l’hanno contraddistinta nell’ultimo decennio, incarna il senso del cambiamento e della rinascita cui mi riferivo prima.
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